Cuba

Un irlandese a Cuba

Prologo

Raccontare 20 giorni passati in giro per Cuba no es facil, come spesso usano dire gli stessi cubani nei vari contesti della vita di ogni giorno. Il buon Gillo ed il sottoscritto avevamo l'isola nel mirino già da tempo, una terra tanto decantata e allo stesso tempo bistrattata, tanto particolare, sicuramente chiacchierata.
Prenotiamo dall'Italia solo lo stretto necessario, ovvero l'aereo (che previdenti), l'alloggio per le prime due notti a La Habana (arrivando la sera è cosa buona e giusta) e una macchina per 10 giorni (con presa a Camagüey). Da buoni viaggiatori fai da te, da sempre insofferenti a sostare nella stessa località per troppo tempo, buttiamo giù un itinerario rigorosamente di massima che evita accuratamente tutte le località balneari più rinomate e all-inclusive (Varadero in testa) alla scoperta itinerante della vera Cuba.
Ci poniamo una sola mission: raggiungere Puerto Padre, un posto nella regione di Las Tunas, dove Gillo ha amici conosciuti da una sua piccola precedente esperienza cubana in febbraio di una settimana (io totalmente vergine dell'Isola) e quindi puntiamo decisamente verso l'oriente, tralasciando fin dalla partenza la parte ad ovest de La Habana (Pinar del Rio, Viñales) che ci dicono essere bella, ma bisogna fare delle scelte. Mi armo della Guida Routard gentilmente concessami dal grande GD, dei suoi consigli e delle dritte anche di qualche altro amico e forumista come lui non nuovo a Cuba (grazie Sfolli , RRunner3 e Alsiotto) e aspettiamo ansiosi il giorno della partenza. Tutto sembra pronto, e se qualcosa non lo è, come al solito, lo scopriremo una volta arrivati.
7 agosto - La Habana

Il 7 agosto si parte da Malpensa, volo Iberia con scalo a Madrid. Un piccolo (e consueto) ritardo a Malpensa ci costringe a una corsetta per il re-imbarco a Madrid. Nella tratta Milano-Madrid scopriamo che cibi precotti e surgelati, vettovaglie e bevande varie non sono gentilmente comprese nel prezzo del biglietto aereo ma sono a pagamento (panino e coca quasi 10 euro!).

Durante la tratta Madrid-La Habana faccio conoscenza con la mia vicina di sedile, una giovane mamma cubana con figlioletto al seguito; le parlo un po' del nostro itinerario e quando le dico che prenderemo l'auto a Camagüey, mi dice che lei vive proprio lì e mi avvisa di fare molta attenzione allo stato della vettura al momento della presa. Che sia un segno premonitore? Le raccomandazioni si riveleranno fondate, purtroppo. Mi lascia anche il suo numero di telefono, nel caso proprio avessimo bisogno. So che probabilmente non accadrà, ma apprezzo il gesto che subito, ancor prima di arrivare, mi fa entrare in sintonia con lo spirito cubano.
Finalmente atterriamo all'Aeropuerto Josè Martì de La Habana! I soliti tempi burocratici per lo sbarco, i controlli, il recupero bagagli, il cambio degli euro in valuta locale (e l'affissione di un adesivo di Zingarate dei bagni ) e finalmente siamo fuori! Dopo aver gentilmente rifiutato un taxi-CAB tutto per noi alla modica cifra di 25CUC (praticamente l'equivalente di 25$), ne troviamo un altro riuscendo a dividerlo con altri due spagnoli di Madrid, i quali, durante il tragitto, conducono pressoché immediatamente (con cognizione di causa) il discorso su un singolare confronto Italia-Spagna/Rocco Siffredi-Nacho Vidal (i più esperti pornofili intenderanno), coinvolgendo tra l'altro anche l'ignaro autista.
Raggiungiamo il nostro alloggio in una casa particular (case di proprietà ufficialmente autorizzate anche all'alloggio di turisti) in zona Miramar/Playa, un po' fuori dalla zona centrale, area residenziale (termine da prendere con le pinze) sede tra l'altro di molte ambasciate, tra cui quella italiana. La Habana è divisa in diversi barrios (quartieri), i cui principali, o quantomeno i più conosciuti e visitati, sono Miramar, per l'appunto, il Vedado, il Nuevo Vedado, Centro Habana e La Habana Vieja (anche Buena Vista è conosciuto grazie a un celebre film di Wim Wenders).

Ognuno di questi è diverso dall'altro e merita indubbiamente una visita, anche solo camminando per le sue calles (strade).
Il dueño (proprietario) ci accoglie con tutti i crismi, ci accompagna alle nostre stanze e subito ci tiene a precisare (più di una volta e come fosse la cosa più normale di questo mondo) come sia possibile portare in camera una sola ragazza alla volta e maggiorenne! Fulmineo e spontaneo scatta lo scambio di sguardi estrefatti (il primo di una lunga serie) tra me e Gillo che ci apre inquietanti interrogativi circa il nostro aspetto e l'immagine che diamo di noi stessi in primis e sugli usi e costumi del paese in cui siamo arrivati poi. Ci limitiamo a rispondere Està bien, no se preocupe.
Forse, vedendoci ancora perplessi, ci estrinseca meglio il concetto, spiegandoci come funziona da quelle parti in materia di ragazze e mettendoci in guardia sui possibili inconvenienti che potrebbero implicare... avvertenze che noi prenderemo come oro colato per tutta la durata del nostro viaggio. Visto l'orario locale (mezzanotte ormai) decidiamo di andare a letto senza concederci, anche su consiglio del dueño, una passeggiata tra le vie rigorosamente prive di illuminazione del barrio. In Italia sono solo le 18.00, ma ci abitueremo presto al nuovo orario.
Il giorno dopo prendiamo confidenza a fatica col sistema stradale cittadino: molte strade (soprattutto di Miramar e Vedado) non hanno un nome ma vengono indicate con un numero e per localizzare un posto vengono sempre indicate oltre alla via e il numero anche le due altre vie entro le quali si trova … sì insomma è anche più difficile spiegarlo che capirlo... forse.
Fate conto che in alcune altre città le vie hanno anche due nomi, uno vecchio e uno più recente, con le conseguenze che potete immaginare. Ci rechiamo alla succursale della Viazùl, compagnia di Bus locale con la quale abbiamo deciso di percorrere le prime due tappe del nostro itinerario prima di prendere l'auto, per informarci su orari e costi del bus per Santa Clara del giorno dopo.

Abbiamo infatti programmato di concedere a La Habana gli ultimi quattro giorni del nostro viaggio, in quanto comunque vi dobbiamo tornare per ripartire alla volta dell'Italia.
Appena arriviamo col taxi veniamo subito adocchiati, ancora prima di scendere, da un crocchio di cubani appostati all'entrata che subito ci offre di portarci ovunque facendoci pagare meno (è la prassi, ce ne faremo l'abitudine a queste situazioni). Entriamo, la funzionaria allo sportello informazioni mi dice, con tutta la flemma di questo mondo (faremo l'abitudine anche a questo), che dobbiamo solo prenotare dando i nostri nomi e pagare il giorno dopo presentandoci un'ora prima (?!) della partenza. Perplessi, così facciamo e finalmente ci lanciamo alla scoperta de La Habana!
Ci incamminiamo e realizziamo che fa un caldo maiale e l'umidità è a livelli che neanche in centro a Milano a Ferragosto! (a questo faremo giocoforza l'abitudine, però a fatica). Immediata e nitida è l'impressione di essere capitati in un posto fermo agli anni '50, in tutto, con le immancabili e rinomate americane (alludo alle auto) dell'epoca, più o meno rabberciate (ma ce ne sono anche di tenute benissimo), affiancate da svariati altri catorci (per lo più Lada o altro residuato sovietico, ma anche qualche vecchia Fiat 126!), che lì a Cuba sono capaci di fare andare, sempre e comunque.
L'arte di arrangiarsi fa miracoli! Tutto (case, strade, auto, le stesse persone) sembra precario e destinato a crollare miseramente da un momento all'altro, ma non lo fa e resiste quasi stoicamente, quasi contro tutto e tutti. Questo è lo spirito che si avverte forte in tutta l'isola e tutto questo è insieme il fascino e il limite di Cuba, ma quello che rende comunque questo paese, che lo si apprezzi o no, particolare e unico, pregno di un'atmosfera senz'altro irripetibile, almeno agli occhi del visitatore (immaginiamo che a quelli dell'abitante locale susciti riflessioni diverse).

8 agosto - La Habana

Al naso, invece, balza subito l'odore acre della benzina (o qualsiasi altro intruglio usino) e del fumo che esce nero e copioso dai tubi di scappamento di auto, carri, moto, motorini e side-cars (numerosi) e che avvolge i marciapiede inebriando i pedoni. Singolari i bus cittadini, di due tipi: la classica Guagua, ovvero un carro o un vero e proprio camion di piccole dimensioni adibito al trasporto di persone, e il Cammello, ovvero sempre un camion che traina un rimorchio con due gobbe sul tetto che, appunto, lo fanno assomigliare a un cammello. In entrambi i casi le persone sono spesso e volentieri ammassate l'una accanto all'altra, stile Fantozzi che prende al volo il bus delle 7.15. Roba che, col caldo che gira, fa svenire solo a guardarla!
In ogni dove cominciamo a vedere cartelli e scritte propagandistiche di governo inneggianti socialismo o muerte!, la lotta, la vigilanza contro il nemico, la resistenza e naturalmente… la revoluciòn! Ne è disseminato in pratica tutto il paese e diventano quasi un pittoresco e simpatico diversivo lungo i percorsi da una città ad un'altra. Qualcuno può forse storcere il naso, ma mi chiedo se siano poi meglio i cartelli e le insegne pubblicitarie dei quali, alla stessa stregua, sono tappezzati i nostri di paesi (mentre lì sono totalmente assenti).
Realizziamo di non essere poi così lontani dalla celeberrima Plaza Revolucion, teatro dei comizi con folle oceaniche del Lider Màximo Fidel Castro e tappa d'obbligo di qualsiasi tour cittadino. Indubbiamente la sua vastità non lascia indifferenti. Ai lati della piazza campeggiano da una parte il palazzo con la rinomata gigantografia in ferro del Che e dall'altro il Memorial a Josè Martì (altro eroe nazionale dell'Indipendenza cubana) sul quale s'erge l'alto pennone sulla cui cima si può godere di una vista panoramica della piazza e dell'intera città.

Singolare è la signora che lavora all'interno dell'ascensore, seduta tutto il giorno vicino alla tastiera: ci ha detto che è da sette anni che fa quel lavoro! Al piano terra c'è anche il relativo Museo dedicato appunto a Josè Martì e il tutto è visitabile per la cifra di 5CUC … e noi lo facciamo. All'interno dei locali (bar, musei, ecc …) la temperatura è sempre mitigata dalla presenza di condizionatori e/o ventilatori, mentre fuori la temperatura si conferma sempre torrida! Immaginatevi dunque gli sbalzi di temperatura ripetuti a cui si va incontro.
Dopo la visita alla piazza ci lanciamo a zonzo a piedi addentrandoci in quello che poi scopriremo essere il Vedado e, per un tratto, Centro Habana. Alle 16.00 ci troviamo esausti seduti sui gradini di un portico, stroncati dal caldo, disidratati e con le sfiacche ai piedi e decidiamo quindi di mollare il colpo, prendere un taxi e tornare a casa per riposare, farci una bella doccia e prepararci per la serata.
Per la sera il padrone di casa ci consiglia un buon paladar (ristorante) lì vicino dove mangiamo dell'ottimo pesce, facendo la prima conoscenza coi celeberrimi tempi lunghi del servizio cubano (a quanto pare prassi diffusa e non riguardante solo la ristorazione), dopodiché, satolli, puntiamo alla Casa della Musica, locale straconosciuto e anche fin troppo turistico, ma vicino e raggiungibile a piedi.
Il posto si rivela uno stanzone dal soffitto alto, una sorta di sala da teatro, con in mezzo sedie e tavolini e in fondo il palco dove all'inizio si balla (ma si balla ovunque) e dove poi si esibisce il musicista locale di turno con il suo gruppo, in un tripudio di salse e colpi di congas. Ci beviamo i primi Mojitos e Cuba Libre di una lunga serie e bagniamo la serata sorseggiando anche le birre locali, Bucanero e Cristal su tutte, che poi troveremo ovunque lungo il nostro percorso per l'isola.

La serata scorre tranquilla (anche fin troppo) fino a che decidiamo di levare le tende e guadagnare il letto.


9-10 agosto - Santa Clara

La mattina del 9 prendiamo il Bus della Viazùl come convenuto e raggiungiamo la nostra prima tappa dopo La Habana: Santa Clara. Il bus della Viazùl conferma tutto quanto dettomi di buono dalle mie fonti: pulito, in orario, con aria condizionata e perfino con proiezione di un succulento filmone, pietra miliare della cinematografia, con protagonista Steven Segal, in spagnolo con sottotitoli in inglese! Me lo faccio venir buono, tra un abbiocco e l’altro, quantomeno per esercitare la mia comprensione della lingua.
Il bus è tanto comodo al punto che mi sembra non in sintonia col luogo e il tipo di viaggio, e quasi mi sento in colpa. Senso di colpa che aumenta quando vediamo i bus dell’altra compagnia, la Astros, decisamente più alla mano. La Viazùl infatti viene usata prevalentemente dai turisti, che possono permettersi i suoi prezzi (fate conto che uno stipendio medio cubano si aggira intorno ai 15/20CUC mensili), mentre la Astros viene usata dai cubani, che comunque hanno mezzi di trasporto anche diversi (vedi le guaguas di cui sopra).
Viaggiamo sulla Carrettiera Central, ovvero la strada principale che percorre Cuba in quasi tutta la sua lunghezza e, devo dire, lo stato delle strade si rivela molto migliore del previsto (almeno in prossimità di questa strada principale). Lungo tutta la strada e soprattutto in prossimità dei centri abitati schiere di persone e intere famiglie sostano aspettando qualcuno che li carichi facendo la classica botella (l’autostop), alcuni brandendo anche dei soldi a mò di fazzoletto.
All’entrata e/o uscita dalle città ci sono veri e propri puntos de recogida (punti di raccolta) dove un funzionario dello stato vestito di giallo ferma i carri (le guaguas) e sovrintende alla raccolta e smistamento delle persone (con tanto di registri ed elenchi alla mano) che attendono rispettosi il loro turno.

Arriviamo così a Santa Clara senza avere già un indirizzo dove alloggiare (sarà l’unica volta visto che da lì in poi ne saremo forniti in abbondanza dai vari proprietari presso cui alloggeremo di volta in volta). Scendiamo dal bus e chiedo subito a una funzionaria se conosce una casa dove alloggiare. Dopo esserci rifocillati un po' alla cafeteria mi fornisce un biglietto da visita sdrucito di una casa, prendiamo un taxi e ci dirigiamo lì; la casa è accogliente, il proprietario è un ragazzo giovane e simpatico e ci dà una stanza.
Santa Clara si rivela subito un paese molto accogliente e ricco di storia. Gli amanti di Ernesto Che Guevara non possono che apprezzarlo e amarlo. Qui infatti ancor più che altrove si avverte la presenza quasi fisica della figura del rivoluzionario argentino adottato dai cubani. A Santa Clara ebbe luogo il celebre assalto, capeggiato proprio dal Che, al Tren Blindado il 29 dicembre ’58 e qui c’è il Mausoleo a lui dedicato con tanto di Museo.
Ma andiamo per ordine: la brulicante vita pomeridiana si consuma lungo la cosiddetta Boulevard, via dello struscio, piena di barettini e di negozi dalle vetrine scarne e dalle teche piene di merce improbabile della più svariata natura messa lì alla bellemeglio. Proseguendo lungo la Boulevard e uscendo dal centro si arriva appunto al Tren Blindado, treno dell’esercito dell’ex dittatore Batista che il Che, col suo drappello di uomini al seguito, fece deragliare confiscando il carico di armi che portava e con le quali poi si apprestò alla conquista, appunto, di Santa Clara prima e La Habana poi.
E’ uno spiazzo nel quale i quattro o cinque vagoni del treno sono lasciati apparentemente immobili da quel giorno con di fronte un obelisco alla memoria dell’impresa e dei suoi partecipanti. Dentro due di questi vagoni è stato allestito un piccolo museo, più che altro con qualche suppellettile e qualche documento e foto dell’epoca.

Da lì, dopo una camminata di 15 minuti circa (sempre sotto il sole cocente) arriviamo alla Loma del Capiro, la cima di un colle da dove si gode la vista panoramica della città e dove il Che progettò e organizzò coi suoi uomini l’assalto al Tren Blindado. Mentre camminiamo alla volta della Loma ci affianca un vecchietto bicicletta alla mano; era al Tren Blindado e ci ha sentito chiedere informazioni sulla Loma e si offre di accompagnarci visto che lui sta andando a casa e va proprio da quella parte. Ne approfitto, vista l’età, per chiedergli se lui ha vissuto i momenti di quel 29 dicembre ’58 e se aveva visto in persona il Che; ci racconta i suoi ricordi mentre proseguiamo camminando ma, ci dice, quel giorno il Che non lo vide.
Dopo la Loma del Capiro siamo diretti alla Plaza della Revoluciòn (sì insomma, un po’ ovunque c’è una Plaza della Revoluciòn), dove si erge il Mausoleo del Che con relativo Museo. Si da il caso, però, che sia esattamente dall’altra parte della città: visto il caldo atroce e la nostra spossatezza, troviamo un bici-taxi (praticamente ovunque a Cuba) assoldando il ragazzo che lo guida per la modica cifra di 2CUC, che diventano 3, con sua grande meraviglia e gratitudine, quando arrivati ci muoviamo a compassione per lo sforzo profuso sotto la spietata canicola. Durante il tragitto ci chiede dell’Italia e in particolare di Papa Giovanni Paolo II, tessendone le lodi con profonda ammirazione (ma non dovevamo essere noi i cattolici e lui il comunista mangia-bambini?! … va beh).
La Plaza de la Revoluciòn di Santa Clara è, manco a dirlo, molto grande (certamente molto meno di quella de La Habana); da un lato limitata da due cartelloni dedicati al Che, dall’altro dal suddetto Mausoleo, una sorta di altarone con relativa scalinata in cima alla quale, ovviamente, campeggia fiera la statua del guerrigliero argentino con il suo fucile.

Sul retro si entra nel museo, non grandissimo, dove non è permesso scattare foto, e dove vengono ripercorse la vita e le sue gesta, a partire da foto da bambino e pagelle scolastiche (a proposito, chi l’avrebbe mai detto che il Che aveva 4 in educazione fisica?!) fino a oggetti a lui appartenuti e usati nelle varie campagne a cui ha preso parte. Insomma, per chi ama e apprezza il Che, una tappa imperdibile e molto emozionante.
Per la sera Santa Clara offre un paio di discoteche, tra cui una in cima al palazzo che sovrasta la piazza centrale, dove noi non andiamo, e il Primavera. Alla chiusura ci si sposta tutti un po’ fuori in un locale chiamato Patio Bar. La seconda sera usciamo insieme al ragazzo che ci ospita, sua moglie e due sue amiche; e quando è tempo di salsa non possiamo far altro che sederci e guardarle ammirati! Il mattino dell’11 ci rechiamo nuovamente alla stazione della Viazùl, salutiamo Santa Clara e, visto che tutte le nostre info non dipingono Ciego de Avila come posto di particolare interesse, partiamo diretti alla volta della nostra seconda tappa: Camagüey.
11-12 agosto - Camagüey

Arrivati alla stazione dei bus di Camagüey , mi sento subito chiamare da un ragazzo giovane che brandisce un pezzo di carta con scritto il mio nome. E' il nostro nuovo “padrone di casa” che ci è venuto a prendere, montiamo su un taxi e raggiungiamo la nostra nuova dimora.
Camagüey è la terza città di Cuba ma, come lui stesso ci dice, si caratterizza più che altro come sosta quasi obbligata per tutti i viaggiatori che stanno percorrendo l'isola da occidente a oriente o viceversa grazie alla sua posizione centrale strategica. Parliamo molto con lui e con sua moglie.
Lui impegnato a migliorare la casa per i turisti e il suo “giardino” sottostante con molti alberi da frutto, lei nella sua attività casalinga di manicure e parrucchiera.

Una coppia simpatica con la quale entriamo subito in sintonia. A fianco delle loro casa abita un'altra famiglia dove vive un bambino con cui giochiamo e passiamo un po' il tempo; vedere i suoi giochi e pensare ad alcuni bambini italiani già col cellulare mi fa riflettere un po'…

La sorellina ha 13 anni, apparentemente timida e riservata, mi chiede dell'Italia e subito se sono lì per trovare una fidanzata cubana. Nuovamente mi interrogo sul mio aspetto e sull'immagine che do di me, ma la naturalezza e spontaneità con cui me lo chiede mi lascia basito e mi fa interrogare se e quanto ormai siano considerate normali e assodate certe cose da quelle parti. Una parziale risposta la ottengo quando, proseguendo nel discorso, tento di farle capire che non è obbligatorio che io trovi una fidanzata a Cuba e che comunque non è quello il mio scopo, che in Italia la vita è molto diversa e ci sono moltissime persone, uomini e donne, che vivono soli senza un partner.
Lei mi guarda per qualche secondo e poi mi dice, con una naturalezza disarmante “ Sai cosa devi fare tu? Stasera esci, vai con una jinetera, ci fai sesso e poi domani ne trovi un'altra ”. A quel punto non so davvero cosa rispondere, attonito, e mi limito a chiosare con un “ quizàs … vamos a ver que va a pasar … “. La moglie dice di aver imparato a cucinare solo dopo che si sono sposati, fatto sta che ceniamo meravigliosamente bene dopodichè usciamo.
La vita notturna di Camagüey è comunque abbastanza fervida e ruota intorno alla Casa de la Trova, tipico locale-cortile dove, sorseggiando Mojitos e Cuba Libre, si assiste a musica dal vivo e volendo si balla (chi è capace), e due discoteche, il Copacabana e il Colonial . Noi finiamo tutte e due le sere al Copacabana, in quanto la seconda sera il Colonial pare sia chiuso e molta gente riversa nella piazza cittadina dove ci sono canti e balli.

A Camagüey è previsto che noi prendiamo la macchina a noleggio la mattina del 13, ma subito qualche presentimento ci fa incrociare le dita e sperare che tutto vada liscio, cosa che ovviamente non succede. Il voucher in nostro possesso ci dice di recarci all'Aeroporto per ritirare l'auto, lo facciamo, e scopriamo che non solo non c'è nessuna auto, ma non esiste neanche l'ufficio della compagnia noleggiatrice! Insieme al nostro amico cubano cominciamo una piccola odissea che ci porta alla sede centrale cittadina in prossimità di un grosso hotel. Lì ci spiegano (dopo svariati minuti) che la prenotazione, fatta da me quasi un mese prima, è arrivata proprio quella mattina (?!) e che quindi loro non hanno un'auto pronta per noi, ma che provvederanno a trovarcene una.
Dopo un'ora abbondante ci offrono una Peugeot 206 in condizioni a dir poco pessime (tra l'altro con un chiodo in una ruota di cui si accorge l'attento Gillo), chiaramente non destinabile al noleggio, ma ci dicono che hanno solo quella: insomma, o quella o niente. Rapido consulto e decidiamo di rischiare (facendoci almeno cambiare la ruota col chiodo) e, annotati tutti i difetti dell'auto sul contratto (diventato praticamente una mappa geografica di scritte), salutiamo il nostro amico e, ancora perplessi, salpiamo con circa due ore di ritardo sul ruolino di marcia alla volta della nostra terza tappa: Santiago de Cuba.
13-14-15 agosto – Santiago de Cuba

Il tempo di uscire da Camagüey a bordo della nostra “nuova” auto che subito veniamo fermati dalle forze dell'ordine locali in uno dei puntos de control che poi scopriremo essere appena all'entrata e all'uscita dei grossi centri e presso i quali il limite di velocità è di 40 km/h. Sono segnalati da cartelli appositi, ma noi non ci facciamo caso e puntualmente, come detto, ci fermano, ci controllano il contratto di noleggio, i documenti, ci abbozzano una ramanzina circa la velocità da tenere e poi, a seguito di nostre scuse e sguardi stupiti da “gnorri”, ci lasciano andare.

Questa è un'altra prassi, un altro degli innumerevoli privilegi di cui gode il turista.
Percorsa un'altra manciata di chilometri, però, facciamo la spiacevole scoperta che anche i freni dell'auto non sono proprio nuovissimi, praticamente come se le pastiglie non esistessero, ferro contro ferro! Riusciamo stoicamente comunque ad arrivare a Santiago quando ormai è buio, a trovare la nostra casa e a parcheggiare al sicuro l'auto, ovvero lungo il marciapiede davanti alla casa di un vecchietto che, per due giorni, ce la guarderà e controllerà per la cifra di 2CUC al giorno.
Il tempo di “ripulirci” e siamo già fuori per vivere la notte di Santiago. Ceniamo in un paladar su una terrazza che dà proprio sul Parque Cèspedes (vicino alla nostra casa); è spudoratamente un posto per accalappiare turisti, ma la fame, la stanchezza e l'orario ci fanno optare per fermarci lì senza spingerci in ulteriori ricerche.
Nonostante il ricco menù cartaceo, constatiamo che nella pratica hanno solo la “pizza” (capiteranno spesso situazioni del genere), sulle cui qualità culinarie sorvolo a piè pari, ma molto efficace a farci venire di lì a poche ore e per quattro giorni filati (e non solo) pesanti “disturbi intestinali”, per così dire…

Finito di “cenare” ci riversiamo in strada e notiamo molta gente in giro e una certa difficoltà ad entrare nelle discoteche (già piene). Scopriamo poi essere quel giorno il compleanno nientepopodimenoche del Lider Màximo e in tutta Cuba c'è fermento. Facciamo conoscenza con un ragazzo di colore cubano, Michael, che parla un buonissimo italiano e, dall'accento, lascia tradire un suo sicuro soggiorno romano; in diversi parlano italiano, ma non ammettono mai subito di essere stati nel nostro paese, dicendo che lo hanno imparato per necessità.
Si fa finta di crederci e magari solo dopo essere entrati un po' in confidenza lo ammettono. Come detto non ci riesce di entrare in nessuna discoteca e ce la giriamo un po' qui e un po' là, fino a che Michael mi presenta M.

, una ragazza trigueña (non è una brutta parola, ma indica uno dei tanti miscugli di razze presenti nell'isola) e le sue amiche. Si passa la serata tutti insieme finendo a chiacchierarsela e sbevazzarsela in una delle tante cafeterie cittadine.
L'indomani, gambe in spalla, facciamo un giro a piedi per una seria visita della città alla luce del giorno. Santiago è la seconda città di Cuba, molto di stile coloniale e attraente. Il suo centro ruota attorno ai parchi Cèspedes (dove si erge la Catedral de Nuestra Señora de la Asunciòn ) e Ajedrez (scacchi). Senz'altro da includere in itinerario, vale spingersi fino ad oriente per una sua visita.
Insieme a Michael ed un suo amico che vi lavorava, andiamo alla succursale cittadina della compagnia di noleggio dell'auto per far valere le nostre ragioni, esigendo che ce la riparino (in primis i freni) o che ancor meglio ce la cambino in toto, facendo presente che saremmo dovuti partire l'indomani. Dopo varie discussioni ci dicono di riportare l'auto alla sera e che avrebbero provveduto a riparare i guasti entro la mattina seguente.
In compagnia di Michael, quindi, facciamo una sortita appena fuori Santiago per visitare El Cobre, un santuario luogo di pellegrinaggio locale dove resistiamo ai numerosi venditori ambulanti che sul tragitto vogliono appiopparci di tutto, statue, statuette, immagini sacre, ron e quant'altro. Usciti indenni da questo fuoco di fila torniamo in città, lasciamo la macchina all'agenzia di noleggio e in taxi torniamo a casa per la cena e la doccia. “Mangiato e docciato” mi reco sulla terrazzina proprio in cima al palazzo della nostra casa per godermi il cielo stellato, quando all'improvviso tutto d'un colpo salta la luce in tutto il barrio. A Cuba succede, anche con l'acqua. Questo comunque non ci impedisce di uscire e trovarci alla cafeteria El Toro insieme a Michael, M.

e altri loro amici e si fa serata/nottata/mattinata insieme.
Il mattino dopo ci rechiamo agguerriti alla compagnia di noleggio come da accordi, sempre insieme a Michael, ma l'auto, a parte per lo meno i freni, è tale e quale a come l'avevamo lasciata la sera prima. Loro addicono a varie scuse, noi cominciamo a diventare scuri in volto e a fumare dalle parti basse facendo la voce grossa (pare che si debba tenere un atteggiamento autoritario con alcuni “addetti ai lavori” cubani per ottenere la loro piena attenzione e disponibilità). Morale della favola: otteniamo che ci venga cambiata l'auto, ma questo solo in tarda serata, evenienza che ci “costringe” a Santiago un giorno in più rispetto al nostro programma, ma accettiamo senza ulteriori indugi.
Io, Gillo, Michael e M. intraprendiamo allora un mini-tour appena fuori città che ci porta dapprima in un paio di spiagge locali e poi al Porvenir, una specie di piscina all'aperto con bar in mezzo alle foreste dove, pare, quel giorno un italiano festeggi il suo matrimonio con una cubana. Noi ovviamente ci infiltriamo, mangiamo, sorseggiamo i nostri cocktail coricati sulle sdraio in totale relax, accenniamo a due passi di danza (perché ovviamente imperversa la salsa dagli altoparlanti) e poi ce ne torniamo a casa passando prima a ritirare finalmente la nostra nuova e funzionante auto, una Kia blu elettrico apparentemente senza alcun problema o difetto.
Stando una notte in più, dobbiamo alloggiare in un'altra casa per quella notte (fortunatamente poco distante), così provvediamo al trasloco dei bagagli. Mentre Gillo è sotto la doccia faccio due chiacchiere con la dueña. Nel volgere di poche parole, anche lei mi chiede se sono lì per trovare la fidanzata e se l'ho già trovata. Mi mostra la foto di una sua presunta nipote, trentenne, single che cerca un fidanzato, ma non cubano!

Nella foto è anche indubbiamente carina, ma questa storia ormai mi sembra di averla sentita altre volte e il fatto che la “sciura” mi voglia non tanto velatamente appioppare la nipote la aggiungo al fardello di circostanze “insolite” capitatemi sull'isola e sulle quali riflettere al mio ritorno.
Qualche ora più tardi ci troviamo con Michael, M. e un paio di sue amiche e facciamo nottata in una discoteca un po' più chic (e infatti dove la presenza di altri italiani è più massiccia) alla periferia di cui però ora purtroppo non ricordo il nome (forse “Tropical” o qualcosa del genere). La disco è ubicata al primo piano (con terrazza) di un complesso a metà tra il residenziale e il centro commerciale, 2CUC a persona l'entrata.
Il mattino dopo salutiamo Michael e partiamo alla volta di Puerto Padre, nostra prossima tappa. In auto con noi una nuova compagna di viaggio, M. , che ha deciso di seguirci fino a lì.


16-17-18–19 agosto – Puerto Padre

All'agenzia di noleggio a Santiago ci avevano raccomandato solo di provvedere al cambio dell'olio dopo qualche kilometro e noi, arrivati alla città di Las Tunas, ci proviamo. Ci fermiamo appositamente in un'officina convenzionata e chiediamo che ci venga cambiato, ma di olio al momento non ne hanno (?!?). Ormai quasi più divertiti che stupiti o seccati, ci facciamo segnare anche questo sul nostro contratto (a scanso di equivoci) e proseguiamo il cammino senza l'olio nuovo.
Arriviamo a Puerto Padre, paese costiero e balneario dell'omonima regione di Las Tunas, nel primo pomeriggio e ci dirigiamo subito in una località distante 20 kilometri dove vivono gli amici di Gillo. Trattasi di cosiddetti Guajiros , termine col quale a Cuba vengono denominati i contadini. Facciamo base a Puerto Padre, trovando a fatica un alloggio abusivo in quanto pare non esista una casa particular, hostal, pensione o altro libero in tutto il paese, ma passiamo tutti i giorni e tutta la giornata coi nostri amici guajiros.

Gillo ritrova anche D. , una ragazza già conosciuta a febbraio, e passiamo quattro giorni immersi nella vita dei contadini cubani, tra galline, maialini e capre che ci scorazzano tra le gambe, feste di compleanno sulla spiaggia a base di maiale allo spiedo, pranzi a base di Angosta (aragosta) e cene all'aperto al chiaror di luna con portata di Obejo (capretto) ucciso sotto i nostri occhi solo qualche ora prima. Assaggiamo anche la carne di tartaruga e un giorno ci rechiamo su una spiaggia vicina dove ci viene offerto del pesce appena pescato.
Inutile dire che tutto è meravigliosamente buono e condito dall'immancabile riso bianco coi Frijoles negros (fagioli neri), che viene passato dallo stato, e da incessanti e imperterriti ritmi di salsa. Per tutto questo non ci viene chiesto nulla in termini di denaro, come l'usanza locale farebbe supporre, ma solo l'impegno, nel caso, a riuscire a far loro pervenire del materiale vestiario o altro non appena tornati in Italia.
La mattina del 20 salutiamo per l'ultima volta i nostri amici guajiros coi quali abbiamo passato quattro giorni bellissimi, montiamo in auto e partiamo in direzione della prossima sosta, Trinidad. In auto il gruppo si è allargato ulteriormente. Oltre a M. ora c'è anche D. Entrambe hanno deciso di seguirci almeno fino a Las Tunas, da dove poi prenderanno una guagua una alla volta di Santiago e l'altra di Puerto Padre.
20-21 agosto – Trinidad

Percorriamo l'isola dalla costa nord a quella sud. Sul tragitto salutiamo le ragazze a Las Tunas, come detto, e proseguiamo nuovamente da soli. Il tempo di essere rifermati nuovamente dalla “stradale” ad un altro punto de control per la velocità e di essere fatti andar via con le solite scuse e espressioni innocenti, che il tempo meteorologico, fino ad allora anche fin troppo soleggiato, si fa sempre più scuro via via che ci avviciniamo a Trinidad, ove infatti arriviamo sotto una pioggia copiosa.

Raggiungiamo subito la nostra casa particular, una bella casa in stile coloniale, prendiamo possesso della nostra camera e lasciamo la macchina parcheggiata nel cortile di una vecchina sua parente, molto dinamica e ciarliera, per i consueti 2CUC al giorno.
Intanto ha smesso di piovere e l'ambiente è tornato ad essere afoso come o forse anche più di prima; chiediamo informazioni alla figlia e alla nipote della dueña circa i divertimenti serali, discoteche e quant'altro e loro, senza indugio alcuno, ci invitano ad uscire con loro. Ovviamente non serve consultarci per accettare l'invito e ci rechiamo dapprima in una piccola discoteca ricavata presumibilmente alla “bellemmeglio” da un vecchio garage doppio e poi in un altro posto molto più bello e turistico proprio nel centro della città, in cima ad una scalinata che sovrasta la piazza dove già un complesso si esibisce a ritmi di .. indovinate … salsa!
Entriamo, il posto è bello, all'aperto e ampio anche se pieno di gente. Non ricordo il nome, ma almeno i ritmi variano un po' e si arriva perfino a sentire una hit dei Queen! Alla chiusura facciamo ritorno alla dimora, che poi è anche quella delle ragazze, con le quali ci accordiamo per un giro in spiaggia all'indomani.
Al mattino ci mettiamo in posizione eretta con tutta calma e usciamo a piedi per scoprire un po' Trinidad, che tutti ci hanno descritto come posto molto caratteristico e incantevole. Tutto viene confermato e, sotto una canicola opprimente, ci lanciamo negli innumerevoli vicoli che caratterizzano il paese. Il manto stradale è costituito ovunque da un ciottolato di pietre, e, sia nella piazza principale che nelle labirintiche viuzze, si vedono i segni dell'uragano che ha colpito la zona qualche mese prima.
Molte costruzioni, infatti, sono tenute in piedi e picchettate da robuste travi in legno che arrivano ad occupare quasi tutta la larghezza della calle.

Il luogo, comunque, non perde il suo grande fascino, e, temerari, ci tuffiamo nella zona dei mercatini e delle bancarelle, dove manco a dirlo, siamo come miele per le api. Riusciamo a passare quasi indenni con al nostro attivo (passivo) l'acquisto di solo un paio di cappellini e un paio di CD.
Trinidad ci conquista senz'altro, facciamo ritorno a casa e, nel primo pomeriggio, ci rechiamo con le ragazze alla vicina Playa Ancon come d'accordo. Il tempo di un bagno e un po' di solleone, quando giunte circa le 15.00 nel giro di 20 minuti il cielo si fa nero pece e, come il giorno prima, inizia a piovere a dirotto. Facciamo appena in tempo a montare in auto e ad arrivare a Trinidad dove le calles sono praticamente dei veri e propri torrenti in piena.
Lasciamo parcheggiata l'auto lungo il marciapiede ma temiamo addirittura che l'acqua se la possa trascinare via (!?). Rientrati in camera sentiamo fermento appena fuori la nostra porta (che dà su un cortile interno): le due ragazze si sono portate shampoo e bagnoschiuma e si stanno tranquillamente “docciando” sotto la pioggia e sotto la cascata dell'acqua di scolo che scende da un canale rotto. Ovviamente anche lì un rapido scambio di sguardi tra me e Gillo è bastato per tuffarci a pesce e unirci di comune accordo alle ragazze...
Così docciati schiacciamo un pisolino rigeneratore in attesa della serata; forse esageriamo un po' e quando ci svegliamo ha smesso di piovere e, esattamente come il giorno prima, è ripiombata nell'aria un'afa insopportabile, ma soprattutto le ragazze paiono essere già uscite.
Ad ogni modo, avendo preso già informazioni, decidiamo quindi di puntare su un'altra discoteca, descrittaci come la migliore della città e forse anche un po' più turistica, ma tant'è. Si trova nei pressi di un centro residenziale chiamato “Las Cuevas” (Le grotte) e commettiamo l'errore di volerci andare a piedi credendola vicina.

Il posto infatti è appena fuori del paese e per giunta appena sopra un piccolo colle; in più sembra non esserci il benché minimo “movimento” che possa aiutarci in qualche modo a localizzare il posto. Insomma, riusciamo a trovarlo dopo varie peripezie e ormai già in un bagno di sudore, ma tutto sembra fin troppo tranquillo. Pare comunque che sia aperto e così ci buttiamo.
La discoteca ha un suo nome che non ricordo, ma comunemente viene chiamata “Las Cuevas” appunto, in quanto è ricavata proprio all'interno di alcune grotte dove si deve pure fare attenzione a dove metti i piedi per non scivolare. La formula è “paghi 10CUC, entri e bevi quello che vuoi e quanto ne vuoi” e ti mettono un braccialetto al polso. Superata una scalinata pericolosissima e scivolosa giungiamo infine alla stanza principale dove pompano la musica da un gabbiotto appollaiato in alto tra le rocce. Come temuto il locale è pressoché vuoto e le uniche presenze sono dei gruppi accoppiati che si esibiscono in evoluzioni al ritmo di musica salsa e affini.
Non sapendo ballare la salsa e non essendoci ragazze “libere” con cui tentare di intavolare un discorso e/o uno scambio culturale, puntiamo decisamente sull'alcol, anche per sfruttare il più possibile i nostri 10CUC con la formula del “bevi quanto vuoi”. Iniziamo così una sequenza di Cuba Libre, nella speranza, vana, che il locale si riempia. Giunge però l'orario di chiusura e nulla è successo, per cui noi finiamo di buttar giù l'ennesimo Coca&Ron e guadagniamo l'uscita. Al di fuori, si sentono ancora le eco dei bagordi e della musica proveniente dalla città, molto presumibilmente dal posto dove eravamo stati la sera prima. Beh, insomma, quella sera avevamo sbagliato tutto ... capita …

Il mattino dopo ci concediamo un'ultima camminata tra le vie di Trinidad e poi partiamo verso Cienfuegos .

Non era nei programmi, ma ci dicono essere una bella cittadina e poi, anche se non dista molti kilometri da Trinidad, ci serve per accorciare un po' il tragitto che giocoforza dovremo fare il giorno 23 per tornare a La Habana e riconsegnare l'auto.
22 agosto – Cienfuegos

Percorriamo i non molti chilometri che ci separano da Cienfuegos lungo la suggestiva (paesaggisticamente parlando) strada che rasenta la costa. Il tempo si mantiene nuvoloso ed ogni tanto spruzza qualche goccia di pioggia. Incontriamo un insolito traffico di auto e di persone che con qualsiasi mezzo percorrono il nostro stesso sentiero, in un senso e nell'altro, ma non assistiamo al tanto pubblicizzato "rituale" del genocidio di granchi che pare proprio lungo questa strada si "immolino alla causa"sotto i copertoni delle auto nel disperato tentativo di fare la spola tra l'acqua e la terra, con le conseguenze suicide che potete immaginare anche per quanto riguarda gli stessi copertoni (per i quali le appuntite chele non sono proprio un toccasana). La leggenda vuole che cotanto scempio di crostacei sul selciato provochi uno sgradevole olezzo, per il quale tale tratto di strada pare essere rinomato.
La carrettera d'ingresso a Cienfuegos è un brulicare polveroso di persone e di mezzi che vanno e vengono e, siccome non riusciamo a orientarci bene circa l'ubicazione della nostra casa particular, ci fermiamo subito a chiedere ad un gruppetto di persone ferme ai bordi con le loro sporte nell'evidente intento di aspettare qualsiasi mezzo passi di lì.
Ci rivolgiamo alla signora che sembra capeggiare il drappello dicendole il nome della via e mostrandogliela anche sulla cartina, alché comincia ad ingaggiarsi tra i componenti del gruppo una sorta di consultazione che sfocia quasi in dibattito, in cui vengono coinvolte anche altre persone appositamente chiamate dalla casa vicina (?!?). In realtà la via che cerchiamo non sembra essere una via secondaria e io e Gillo non riusciamo quindi a capire il motivo di tanto discutere; pare poi che questo verta: 1) sul modo per arrivarci in auto in base ai sensi unici cittadini; 2) chi e quanti di loro debbano salire in auto con noi per indicarci meglio la via o più semplicemente per scroccarci un passaggio.

Dopo svariati minuti di consultazione, la signora decide di rompere gli indugi e salire da sola. Finalmente si parte e, nel breve volgere di due svolte, (cvd!), eccoci arrivati alla strada in questione. Salutiamo e ringraziamo la signora, la scarichiamo e ci dirigiamo verso il nostro numero civico. Si rivela, come immaginato, una delle vie principali, anche se non trafficata, della città, tale Boulevard o Calle 54.
Raggiungiamo la nostra dimora, una tranquilla casa particular-villetta con veranda in stile quasi moderno, gestita dall'immancabile dueña e da sua nipote (che stranamente non cerca di appiopparmi). Si fanno quattro chiacchiere in veranda, ci riposiamo sulle sedie sorseggiando un bel refresco ghiacciato e poi decidiamo di lanciarci a piedi per un giro della città.
In fondo alla Calle 54 inizia il centro città e noi ci mischiamo all'incessante viavai di persone abbandonandoci allo "struscio" più bieco. Arriviamo alle soglie del Malecòn (lungomare) cittadino quando, seppur sempre sotto una calura barbina, il cielo comincia a rannuvolarsi e annerirsi in rapido incedere. Memori dei giorni precedenti a Trinidad, decidiamo quindi di riguadagnare l'uscio di casa prima di venire trascinati a mare (o meglio, a oceano) dalle piogge torrenziali e, semmai il tempo dovesse tenere, di uscire poi dopo in auto.
Puntualmente percorriamo gli ultimi metri che ci separano dalla casa sotto la pioggia e quando il tempo si rimette prendiamo l'auto e ci spingiamo fino a Punta Gorda, estremità del Malecòn che da sull'oceano, sede di alcune ville coloniali dalla cui cima si gode un suggestivo mirador (panorama). Peccato che, mentre ci concediamo il giro turistico, il destino si accanisca contro la nostra vettura e mandi "qualcuno" a staccarci un pezzo di plastica della mascherina anteriore, non si sa bene a che pro, vista la sua totale inutilità.
Forse al solo scopo di "farsi la strada" per infilare la mano e prelevare qualche altro pezzo ben più basilare; fatto sta che non deve averne avuto il tempo dato il nostro arrivo.

Accortici dell'accaduto, pensiamo di recarci alla locale centrale di polizia e denunciare il fatto per ottenere un loro pezzo di carta "firmato" che, a scanso di equivoci, ci copra le spalle con la ditta noleggiatrice. Fortuna vuole che la centrale sia proprio sulla stessa via della nostra casa (almeno quello!), solo qualche metro più in la... intanto ha ripreso a piovere (sic!).
Arriviamo ed esponiamo il nostro problema al funzionario comodamente seduto alla cattedra che da sull'ingresso, il quale, non ci crederete, ci dice che la persona addetta al momento non c'è perché è in pausa, si sta facendo la doccia, sta mangiando ecc … (è mai possibile che la persona che si cerca sia sempre in pausa a qualsiasi orario della giornata? O siamo davvero noi a essere sfortunati?). Ad ogni modo ci dice di tornare dopo gli ormai proverbiali "20-30 minuti" e, giocoforza, così facciamo.
Con l'animo sempre di chi va a giocare un terno al lotto ritorniamo alla centrale e interpelliamo nuovamente il “pizzardone” di cui sopra (sempre comodamente seduto) che ci dice che la persona è arrivata. Aspettiamo comunque ancora qualche minuto. Dopo cotanta attesa ci attendiamo chissà quale autorità in alta uniforme, grosso almeno quanto me e Gillo messi insieme, e invece ci vediamo scendere dalle scale un ragazzetto molto giovane, pantaloni d'ordinanza, manette alla cinta e una comune e anonima t-shirt bianca, che ci dice di seguirlo. Che delusione!!!
Pare comunque che, nonostante la tenera età, il giovane compañero sia rispettato e che conti veramente qualcosa lì dentro… Ci porta in una stanza scarna, due scrivanie vuote e qualche sedia, gli immancabili quadri degli eroi nazionali alle pareti (Guevara, Cienfuegos, Castro, Martì) e sfodera una macchina da scrivere anteguerra da antologia come ormai non se ne vedono più. Intesta il foglio “Policia Nacional Revolucionaria, Año de la Alternativa Bolivariana para las Americas” e parte a prendere i nostri dati, visionare i nostri documenti e quelli dell'auto e a battere a macchina con fragore la nostra esposizione dei fatti.

Al momento di indicare la targa dell'auto ci accorgiamo che questa non è scritta sul contratto, così Gillo scende per annotarla; nel mentre, il giovane Investigador Judicial mi fa qualche domanda sull'Italia e poi mi interroga circa le mie opinioni su Cuba e il suo governo. La cosa ovviamente mi coglie un attimo in imbarazzo, indeciso sul come dosare le parole (insomma, non si sa mai), ciancico qualche frase di circostanza, quando arriva a togliermi dalla incomoda situazione il veloce Gillo che rientra numero di targa alla mano.
Terminiamo la dichiarazione e il buon Rubén (questo scopriamo essere il suo nome) ci accomiata con una stretta di mano consegnandoci il tanto ambito pezzo di carta, il quale diventa subito per noi un cimelio prezioso di cui ci dispiacerebbe privarci il giorno dopo alla riconsegna dell'auto. Vorremmo farne una fotocopia … il guaio è che non esistono fotocopiatrici!!! Gli faccio allora una foto con la digitale, non è la stessa cosa, ma tant'è.
Torniamo in casa, mangiamo anche qui discretamente bene con la cucina della dueña e della nipote e ci docciamo. Gillo, esausto (i giorni di viaggio cominciano ormai a farsi sentire) e in preda ancora ai postumi della "pizza" di Santiago e di malanni vari decide di gettare la spugna per la sera; anche io non sono in piena forma, ma decido di uscire ugualmente da solo. Esco proprio quando arriva il signore (appositamente contattato dalla dueña) che, come da prassi, per 2CUC si siederà tutta notte in veranda a controllarci l'auto parcheggiata proprio lì davanti.
Lo saluto e mi butto nell'oscurità della Calle 54. Arrivo in centro, prendo un taxi e mi dirigo nella disco, pare, più "in" della città, ovvero quella all'interno di un grosso hotel dalle parti di Punta Gorda di cui però non ricordo il nome. Il biglietto si fa proprio alla reception dell'hotel e costa 5CUC, non riesco a capire bene con quante bevande incluse.

Entro, l'ambiente mi ricorda vagamente quello della Casa de la Musica di Miramar a La Habana: uno stanzone con palcoscenico dove si balla, con spiazzo antistante e tutto intorno sedie e tavolini. Provo a ordinare da bere sfruttando il mio presunto "buono" e dopo svariati tentativi il barista mi degna finalmente di considerazione e reclamo le mie bebidas, un cuba libre con un paio di Bacardi Breeze locali. La serata però non decolla, i ritmi non mi trascinano, la stanchezza mi fa invece l'occhiolino e i presenti mi sembrano un po' tutti "gruppetti" a sé stanti, insomma mi sembra quasi di essere in una disco in Italia (anche perché credo siano presenti un buon numero di italiani) e quindi sorseggio le mie bevande osservando l'umanità allegra e spensierata del locale dopodichè guadagno l'uscita.
Prima a piedi e poi in taxi, faccio due chiacchiere con l'autista e torno a casa. La sentinella a guardia della nostra auto è sempre lì seduto in veranda, non si sa bene se sveglio o meno, lo saluto, mi fermo a fare due chiacchiere anche con lui e poi mi rassegno finalmente al letto.


23 agosto – Ritorno a La Habana

L'indomani facciamo fagotto e a metà mattina partiamo verso la nostra ultima tappa, il ritorno a La Habana, dove la dueña ci ha già riservato una stanza sempre in una casa particular di sua conoscenza, questa volta in posizione molto centrale, nel barrio de La Habana Vieja. Facciamo il nostro ingresso in città e, cartina alla mano e con un paio di indicazioni chieste per strada, raggiungiamo in men che non si dica la nostra meta tra le famose calles O’Reilly e Obispo e proprio di fronte l'altrettanto famoso Floridita, il bar prediletto da Ernest Hemingway nei suoi soggiorni cubani. Fatto sta che, pur avendocelo praticamente di fronte, non vi entreremo mai, forse considerandolo almeno all'apparenza troppo "chic" e turistico.

Gillo ferma l'auto in prossimità del marciapiede ed io scendo a piedi per cercare l'indirizzo della casa e subito La Habana ci mostra il suo aspetto meno tranquillo e compassato rispetto a quello che si respira a Miramar e in parte del Vedado. In quei 10 minuti in cui mi assento per cercare la casa, il buon Gillo, restato rigorosamente ad attender al posto di guida, viene "interpellato" con sapienti tocchetti sul vetro da chi gli vuole vendere sigari, chi gli vuole dare un alloggio, chi gli dice semplicemente che non può parcheggiare lì, chi gli vuole vendere altra chincaglieria più disparata e infine chi semplicemente gli chiede dei soldi. Al mio ritorno all'auto lo trovo già sull'orlo di una crisi di nervi e capiamo subito che, nonostante le "ossa" fatteci ormai in giro per Cuba, La Habana ci metterà ulteriormente a dura prova nei prossimi 4 giorni, e così sarà.
Lasciamo l'auto nel parcheggio custodito del vicinissimo e lussuoso Hotel Plaza, praticamente girato l'angolo, scarichiamo i bagagli e ci dirigiamo alla casa. Suoniamo il campanello, la porta lentamente si apre e mi accorgo di quello a cui non avevo fatto caso prima, e cioè l'avveniristico sistema di apertura: la casa è infatti al secondo piano del vecchio palazzo e la dueña, mancando il citofono, ha tirato, con un complesso gioco di carrucole da far impallidire Archimede, un filo lungo tutti e due i piani che arriva appunto fino alla porta alzando il grilletto che la chiude … non c'è che dire, ingegnoso!
La nostra camera è senza infamia e senza lode ma accettabile, solo il letto a due piazze in realtà si rivela a una e mezza e dovremo sacrificarci un po'. I proprietari sono una coppia di vecchietti con lei che pare gestire tutto con disponibilità ma senza eccessiva espansività verso di noi, e lui per 3/4 sordo che gira in canotta e pantaloncini per casa bastone alla mano (ma il più del tempo è piazzato sul divano d'ingresso).

Preso possesso dell'alcova, usciamo per sbrigare immediatamente la pratica della riconsegna dell'auto, immaginando che, per un motivo o per l'altro, ci impiegherà comunque buona parte della nostra giornata, vista anche la faccenda del danno subito il giorno prima a Cienfuegos. Scopriamo che fortunatamente nell'Hotel Plaza (dove già l’auto è parcheggiata) c'è un ufficio della ditta noleggiatrice e che possiamo quindi riconsegnare lì l'auto e, tempo due minuti a piedi, siamo già lì ma… nell'ufficio lavorano 3 persone, un uomo intento a chiaccherarsela tutto il tempo con la guardia dell'hotel, una donna che passerà buona parte del tempo che staremo lì a "ciaccolare" dei fattacci suoi con non si sa chi al telefono… e la terza? La terza, che ovviamente è quella che cerchiamo noi, indovinate?… dopo alcuni minuti spesi ad aspettare diligentemente seduti ci viene detto che non c'è perché è in pausa e arriverà tra 20-30 minuti!!!!
Ormai io e Gillo abbiamo imparato a ridere di queste situazioni e a prenderla con spirito, quindi usciamo e torniamo dopo una mezz'oretta. Al nostro ritorno l'uomo sta sempre parlando con la guardia e… la donna è sempre al telefono!!! Ci vede, ci fa un sorriso complice e interrompe per qualche secondo la sua importante conversazione per dirci di sederci, che la persona addetta arriverà a minuti, dopodichè prosegue nella conversazione telefonica.
Fortunatamente dopo pochi minuti la persona, un uomo corpulento e diciamo anche almeno ben disposto, arriva e sbrighiamo la pratica. Prova comunque a metterci un po' il bastone fra le ruote adducendo il fatto che, avendo cambiato l'auto a Santiago, a lui serve comunque anche il primo contratto originario della Peugeot 206; peccato però, gli spieghiamo più di una volta, che quello ce lo hanno trattenuto i suoi colleghi di Santiago al momento del cambio.
Lui fa una telefonata a Santiago, prova ancora a fare qualche espressione corrucciata, ma si vede che anche lui non è troppo convinto nel volerci ostacolare a tutti i costi e quindi risolviamo la questione.

Usciamo allora a controllare l'auto; vede il danno subito a Cienfuegos e non gli da nessuna importanza non volendo nemmeno il foglio della polizia (con nostro vivo piacere visto che così possiamo mantenere l'originale dell'ambito cimelio, ma anche vivo disappunto dopo tutta la fatica e la premura impiegate per ottenerlo). Non vogliamo immaginare cosa sarebbe accaduto se, invece, con lo stesso danno "di nessuna importanza" ci fossimo presentati senza il foglio…

Di nuovo appiedati ci rilanciamo alla scoperta de La Habana Vieja e, superato il Parque Central (dove passeremo più volte in quei 4 giorni, luogo di ritrovo e di crocchi sempre caratterizzati da animate discussioni e dove si erge la prima statua di Josè Martì eretta a Cuba), visitiamo il vicinissimo e imponente Capitolio, copia in miniatura del Campidoglio di Washington e il cui interno, si dice, sia impreziosito da pregiati marmi di Carrara.
Tutto intorno il Capitolio si dipana La Habana Vieja, col parco retrostante (ove si svolgono contemporaneamente una partitella di calcio e, pare, una seduta di yoga o roba simile), la vicina Real Fàbrica de Tabacos (sigari) Partagàs, le case insieme fatiscenti e affascinanti e via via tutta la variegata umanità che la caratterizza, ognuna intenta nelle più disparate e improbabili attività: chi ripara un auto che sembra cadere a pezzi, chi ozia su un balcone decrepito, chi sosta sotto qualche portico intento in appassionantissime, agguerrite e chiassosissime partite di Domino, il quale realizziamo essere, insieme al baseball, un po' lo sport nazionale, quantomeno della gente comune.
24-25-26 agosto – La Habana

I 3 giorni e mezzo che ci separano dall nostro ritorno in Italia li trascorriamo così, percorrendo in lungo, in largo e pressoché sempre a piedi le vie de La Habana Vieja, Centro Habana e ancora il Vedado e il Nuevo Vedado arrivando a lambire nuovamente la Plaza Revolucion già visitata nei nostri primi giorni cubani.

Tra l'altro, buona parte di un pomeriggio la impieghiamo nel percorrere a piedi sotto il sole cocente quasi tutto (o almeno un bel pezzo) il Malècon, solo sfiorato nei primi due giorni al nostro arrivo, dal Castello de la Real Fuerza in zona Plaza de Armas (dove ci fermiamo sulle panchine e visitiamo il famoso mercato dei libri usati che si tiene settimanalmente), passando per il Castillo de San Salvador de la Punta (con alle spalle, separato dal canale d’acqua dello Stretto di Florida, il Castillo de los Tres Reyes del Morro), fino alla zona dei grandi hotels, Melìa Cohìba in testa; da lì rientriamo in città e percorriamo la famosa Calle 23 (o comunemente detta Rampa) che proprio dal Malecòn parte tagliando in due il Vedado, ritornando poi verso Centro Habana prima e La Habana Vieja poi. Tutto questo sempre alla mercè di un sole potente e al ritmo frenetico di refrescos (su tutti, le locali TuCola e TropiCola).
Il "fenomeno", però, che dopo quasi venti intensi giorni sempre in movimento in tutto il resto dell'isola abbiamo imparato a trattare e fronteggiare, a La Habana risulta ovviamente amplificato e non appena mettiamo il naso fuori di casa, mattino pomeriggio o sera che sia, c'è sempre qualcuno che ci offre sigari, un taxi, chicas, di portarci in una discoteca, di bere qualcosa al bar (che vuol dire che TU devi offrire da bere a lui e poi inevitabilmente anche a tutti i suoi amici che, magicamente, troveremo alla caféteria da lui suggerita), soprattutto quando realizzano che siamo italiani in prima visita sull'isola. Nessuno mai è veramente cattivo, violento o maleducato nel farlo ma complici la stanchezza e la non più viva lucidità, diventa un vero e proprio stress mentale che intacca in maniera sostanziale la nostra resistenza psico-fisica e il nostro spirito di iniziativa degli ultimi giorni habaneros.

Decidiamo in questo senso di approfittare della vicinanza del Plaza Hotel per farvi in quei giorni colazione e cena, accessibili come prezzi e "sicure", in teoria, da ogni punto di vista. Troviamo comunque gli scontati stimoli per vivere la famosa noche de La Habana. Una sera puntiamo ad una disco lungo il Malècon che sembra andare per la maggiore, tal 1883. È arroccata proprio di fronte all'oceano ma non facciamo in tempo a scendere dal taxi che ci vengono incontro due indigeni con l'aria di chi aspettava proprio noi e ci dicono che il locale è chiuso.
Con nostra viva sorpresa constatiamo che effettivamente è vero, ma il taxi ormai se ne è già andato e così, scoraggiati e ormai refrattari a ogni tipo di reazione, cediamo alle insistenze di uno dei due che millanta di portarci in altre discoteche che conosce lui. Così blocca un altro taxi e cominciamo un giro per le vie buie del Vedado che ci porta in 3 discoteche di cui però una non pare particolarmente allettante e due sono anch'esse chiuse, finché optiamo per la quarta.
Paghiamo come consuetudine ingresso e da bere al nostro amico, facciamo una chiacchierata con lui sorseggiando il nostro cuba libre, balliamo, personalmente dribblo sapientemente un paio di tentativi di dichiarati "adescamenti a pagamento", parliamo anche con un gruppetto di italiani e giunta l'ora usciamo, contrattiamo a lungo con un tassista sul prezzo e ce ne torniamo a casa.
Le altre sere le passiamo prima in una disco fuori del centro chiamata Tunnel (singolare il meccanismo di entrata per la serata, dietro consegna di un documento di identità, per noi il passaporto, agli addetti all'entrata con tanto di banchetto, e successiva chiamata in ordine cronologico di consegna), mentre le altre le spendiamo tranquillamente in altre simil-discoteche, che però non accendono particolarmente il nostro entusiasmo, come detto già parzialmente intaccato.

L'ultimo giorno, il 26, per la prima volta piove ininterrottamente tutto il giorno. Abbiamo l'aereo alla sera e ci concediamo stancamente l'ultima camminata per La Habana Vieja prendendo qualche souvenir al mercatino nei pressi del Castillo de la Real Fuerza. Ripercorrendo la Calle Obispo veniamo fermati da una donna che, menù alla mano e in "alta uniforme", ci invita ad entrare nel ristorante per cui lavora decantandocene le qualità e l'alta cucina. Ci crediamo poco, ma come disse quello scrittore famoso " Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno" e così ci fermiamo. La nostra poca convinzione viene subito confermata; nella piccola sala di cui si compone il locale e che dà direttamente sulla strada veniamo affiancati da una tavolata di altri ragazzi che se la ridono allegramente.
Ordiniamo due birre Cristal; la stessa donna di prima ci dice che le hanno finite ma che hanno una loro birra locale molto buona, rassegnati accettiamo e ordiniamo da mangiare. Per il piatto di Gillo sembra non esserci problema, mentre per il mio sembra dovrò aspettare più tempo adducendo il fatto che la carne va scongelata e va scaldato il forno (?!?).
Intanto arrivano le birre, che si rivelano una vera porcheria, mentre al tavolo di fianco (arrivati dopo di noi) sono già arrivate pietanze e anche diverse bottiglie di Cristal (comprate dal cameriere nel baracchino di fronte in strada). A quel punto chiedo spiegazioni al cameriere sostenendo che a noi la birra "locale" non piace. Lui si scusa, esce sulla strada, va al baracchino di fronte e compra anche a noi un paio di Cristal e ce le porta. Nel frattempo arriva la donna che con aria timorosa mi dice che per il mio piatto ci vorranno fino a 45 minuti!!!
"Conquistate" le nostre Cristal, torna nuovamente lei che getta finalmente la maschera e mi "consiglia" di prendere anche io quello che ha preso Gillo perché, nonostante il ricco menù millantato, hanno solo quello.

Ormai non abbiamo più la forza per reagire, la prendiamo sul ridere e anche la donna ride insieme a noi ma con aria dispiaciuta. C’è molta dignità e complicità nel suo sorriso. Fatto sta che mangiamo, beviamo e salutiamo, mentre la donna ha riguadagnato la sua postazione fuori all'entrata e sta già "adescando" una coppia di turisti brandendo il menù. La saluto, le sorrido come per dirle "ne hai beccati altri due eh?", lei mi risponde con un altro sorriso e riprendiamo la via di casa.
Arriva il momento di andarcene e prendere la via dell'aeroporto. Scendo in strada, sempre sotto la pioggia, deciso a prendere il primo taxi che trovo, e (cvd!) nella più naturale e scontata applicazione della Legge di Murphy, se per 4 giorni filati e fino a pochi minuti prima i taxi ce li tiravano dietro, ora che ce ne serve uno, non lo trovo, oltretutto sotto la pioggia. Un paio addirittura si rifiutano di arrivare fino all'Aeroporto! Arrivo fin quasi al Capitolio quando un uomo mi adocchia e mi affibbia un taxi (abusivo); contrattiamo il prezzo e torniamo a prendere Gillo e bagagli. L'auto è una scassatissima Fiat 128 (o simile), ma ci accontentiamo. I bagagli neanche stanno nel baule (che non si chiude completamente) e teniamo quelli di Gillo dietro i sedili con noi.
Sotto la pioggia ormai battente partiamo alla volta dell'aeroporto, un viaggio da tregenda che impiegherà anche circa 45 minuti. Rischiamo un paio di volte la collisione con altri mezzi, ma l'autista e il suo amico seduto davanti sembrano sempre molto tranquilli e se la chiacchierano, nonostante il tergicristallo (al singolare perché c'è solo quello dalla parte dell'autista) vada una volta ogni circa 15 secondi e la pioggia non lasci veder quasi nulla della strada. Sfortuna vuole che pure il finestrino della parte dell'autista non si possa alzare per cui il povero Gillo, che gli siede dietro, si becca in faccia per tutto il tragitto diversi litri di pioggia, soprattutto quando un grosso camion ci passa di fronte inondandoci.

Io rido, non posso fare altro, anche perché siamo praticamente immobilizzati vista la presenza dei bagagli e anche perché, fortunatamente, il finestrino del navigatore è alzato quanto basta.
A un certo punto, anche l'unico tergicristallo cessa di andare (anche solo per quel poco che andava) e si stacca di netto! Il nostro tassista, come se nulla fosse e senza fare una piega o fermandosi, mette una mano fuori dal finestrino, prende il tergicristallo in mano e comincia a passarlo su e giù sul vetro, mentre con l'altra mano continua tranquillamente a guidare e, naturalmente, a parlare col suo amico. Incredibili questi cubani!! Io continuo a ridere, Gillo un po' meno.
Arriviamo nei pressi dell'aeroporto e il nostro amico tassista ci avverte che, essendo abusivo, non può lasciarci proprio davanti l'entrata e ci chiede i nomi dicendoci il suo, in modo che se venissimo fermati dalla polizia possiamo sostenere di essere amici e di conoscerci già. Fortunatamente non ce n'è bisogno, arriviamo, paghiamo, ringraziamo e salutiamo e, con Gillo completamente inzuppato, guadagniamo l'ingresso dell'Aeroporto Josè Martì.


Epilogo

Anche l'interno dell'aeroporto è alla stregua di un acquitrino, con l'acqua che scende dal tetto e i cestini dell'immondizia piazzati qua e là negli atri per raccoglierla. Sbrighiamo le consuete procedure, paghiamo i 25CUC di tassa per lasciare l'isola e andiamo al gate di imbarco. Le condizioni meteorologiche però ci fanno temere per il peggio: a quanto pare la zona è intaccata anche se marginalmente dagli effetti dell'uragano che poi nei giorni seguenti andrà a far disastri negli Stati Uniti, e infatti puntualmente il nostro aereo risulta in ritardo.
Il salone sembra un girone d'inferno dantesco, con gente che consuma caoticamente nei bar e altra, noi compresi, che brancola da un gate all'altro in cerca di notizie, mentre sui teleschermi, quasi a voler tenerci tutti sotto controllo, fa mostra di sé il Lider Màximo intento in una lunga intervista.

Altri voli che sarebbero dovuti partire prima del nostro (con altri italiani a bordo) vengono soppressi. Alla fine scopriamo che quegli aerei dovevano arrivare da Varadero, mentre il nostro parte da La Habana per cui non dovrebbe seguire la stessa sorte ma dovrebbe partire, prima o poi. Fortunatamente è così e, con un ritardo di poco meno di due ore, ci imbarchiamo, salutiamo Cuba ringraziandola per l'ultima scarica di adrenalina che ci ha voluto concedere, e decolliamo alla volta dell'Italia sempre via Madrid.
Finisce così la nostra prima avventura cubana, che ho cercato qui di raccontare, anche se non possono bastare neanche queste tre lunghe parti per farlo completamente. Cuba è davvero un paese a sé stante, unico in tutti i suoi aspetti, nella gente e nell'atmosfera che si respira. Io stesso, pur percorrendola per 20 giorni, non sono riuscito a capirla veramente fino in fondo anche se, da turista, ne sono rimasto indubbiamente affascinato. E' impossibile raccontare e spiegare esattamente Cuba, bisogna veramente viverla e, come detto, anche questo non garantisce una sua precisa comprensione. Torneremo a Cuba? Come dice la nostra foto qui in alto "Volveran" , ovvero "torneranno".
Appendice - Pillole

Las discotecas

Non aspettate di trovarvi le grosse discoteche in stile italico con musica techno o house a tutto volume. Le discoteche più "chic", dove si arriva a pagare anche 10CUC, sono di solito quelle all'interno dei grossi hotel, ma conseguentemente vi troverete una maggior presenza di turisti (italiani) e "papponi" locali e non. Per il resto, le discoteche, come tutto a Cuba, sono molto spartane e si concretizzano in un locale mai troppo grande con un bancone del bar più o meno curato, un palco dove ballare e uno spazio per tavoli e sedie, dove comunque si balla sempre senza problema. La colonna sonora è quasi ovunque formata da musica Salsa e dal popolarissimo Reggaeton, un reggae sincopato molto funzionale per gli strusciamenti.

Saltuariamente e solo in alcune discoteche, questi generi vengono intervallati ad altri più "europei".
I taxi

Come per molte cose, a Cuba, esistono i taxi ufficiali e quelli abusivi (riconoscibili). I primi hanno delle loro tariffe e quasi tutti usano il tassametro, coi secondi ovviamente dovete contrattare prima e bisogna stare attenti alle "fregature" (fate conto che per un tragitto medio cittadino si devono pagare 2 o 3 CUC, non oltre). Naturalmente è diverso, in questo secondo caso, se siete da soli o accompagnati da qualcuno del posto. Diffusissimi in tutta l'isola sono anche i cosiddetti bicitaxi coi quali molti cubani sbarcano il lunario o, soprattutto a La Habana, delle specie di motorini addobbati a forma di limone o arancio.
Le strade

Le strade in tutta l'isola sono meglio di quanto mi immaginassi e anche la segnaletica, nonostante le info da me raccolte, è presente; questo soprattutto se si percorre la Carrettera Central che va da un lato all'altro dell'isola, lungo la quale non ci sono problemi e non c'è neanche pericolo di perdersi. Naturalmente più ci si allontana da questa strada principale, più la qualità delle strade (dove ci sono) va a scemare ed è più probabile perdere la bussola (in quanto anche la segnaletica scompare).
Il cambio e la valuta


A Cuba esistono due valute, il Pesos Cubano (CUP) che viene usato unicamente dai cubani e vale intorno ai 3 centesimi di Euro e il Peso Convertible (CUC), il solo usato dai turisti e con un valore equivalente al dollaro (e infatti viene comunemente chiamato Dollaro) oscillante intorno gli 80 centesimi di Euro. Portatevi gli Euro, i dollari non servono più. Valutate voi quanti portarne cash, comunque è sempre possibile prelevare dai Bancomat (con Carta di Credito che non sia American Express, la Visa va bene), o almeno da quelli che elargiscono Pesos Convertibles. Prelevare direttamente in banca con carta di credito vi costerà un 20% di commissioni!

Fate i vostri calcoli.
Fidel Castro e Che Guevara

Non voglio fare considerazioni di tipo politico. Come avrete intuito me ne sono volutamente tenuto alla larga nel mio resoconto, ma mi rendo conto che, parlando di Cuba, l'argomento sia pressoché implicito. Quello che voglio fare qui è riportare semplicemente le mie "impressioni sul campo", ovvero quelle riscontrate parlando con la gente comune, che a mio parere danno sempre un quadro quanto più reale e veritiero rispetto a qualsiasi libro, propaganda o commento visto in TV. Fidel Castro pare non riscuotere ovunque consensi e anzi in alcuni casi sembra realmente osteggiato dalla gente comune, la quale gli tributa sì di aver liberato l'isola dalla dittatura di Batista, ma gli imputa anche, una volta preso il potere, di predicare bene e razzolare male (né più né meno, aggiungo io, di molti altri capi di governo in tutto i mondo). La figura del Lider Màximo insomma è molto controversa e prima di intavolare qualsiasi discorso in merito, soprattutto con chi non si conosce bene, è bene intuire prima come questi la pensa e comunque non avviare mai per primi il discorso. La figura di Ernesto Guevara, invece, è onnipresente sull'isola (e molte volte anche fin troppo sfruttata a fini pecuniari) ed è limpida e cristallina in TUTTI i cubani. E' amato indistintamente da tutti, dai funzionari governativi ai semplici contadini, come esempio di coerenza, coraggio e genuinità d'animo e tutti gli sono infinitamente grati, in quanto vedono in lui una persona che ha lottato per la libertà di un popolo e di un paese che non era neanche il suo e, contrariamente a Fidel Castro, anche quando è stato messo nella stanza dei bottoni come ministro, ha preferito abbandonare la carica e i "privilegi" che questa posizione garantisce, per tornare in trincea (nel vero senso della parola). Alcuni sostengono anche che il suo assassinio, insieme a quello dell’altro eroe nazionale Camilo Cienfuegos, sia stato perpetrato perfino con l'assenso tacito dello stesso Fidel, vistosi oscurato dalle loro "ingombranti" figure, molto popolari tra la gente comune.

Insomma, parlando del Che vi farete solo amici, ma se non amate il personaggio allora forse meglio non toccare il discorso, o andarci con cautela.
Cucina cubana - ristoranti

La cucina cubana è semplice ma molto buona, quando genuina. Immancabile è l'arroz blanco con frijoles negros (riso bianco con fagiolini neri) che viene passato dallo stato. Il resto è tutto a base di pesce e frutta, cucinata anche in diverse maniere, e ovini arrosto. Il nostro consiglio, visto anche le nostre esperienze nei ristoranti riportate nel resoconto, è quello di assaggiare la vera cucina cubana cenando quando possibile nelle casas particulares dove alloggiate; pagate meno, mangiate di più e meglio.
Le casas particulares

Si tratta di case di cubani che possono permettersi, dietro ufficiale autorizzazione statale, di affittare alcune camere ai turisti e sono riconoscibili da uno stemma di colore verde o giallo sulla porta. Alcune di queste sono vere e proprie case coloniali molto belle e, secondo noi, questo è senz'altro il modo migliore di alloggiare sull'isola e venire così a contatto coi veri cubani. Anche perché quella delle casas particulares è una rete diffusissima e fitta, per cui basterà dire al proprietario della prima casa dove alloggiate quale sarà il vostro itinerario o la vostra prossima tappa, e lui vi riempirà di biglietti e indirizzi o addirittura chiamerà per prenotarvi l'alloggio del giorno dopo (salvo poi incassare la commissione). C'è sempre la possibilità, che noi vi caldeggiamo, di fare colazione e/o cenare. Certo, non sono il Grand Hotel ed in alcuni di queste la cura dei locali non è eccelsa, doccia compresa, ma questo sta a voi e comunque noi non abbiamo mai avuto particolari problemi. I costi vanno dai 20 ai 30 CUC a notte per stanza, dipende anche dalla città (noi abbiamo pagato 30 solo a La Habana) e se optate anche per la colazione e/o la cena, queste vanno dai 6 agli 8 CUC a persona.

Fate però conto che, solitamente, quello che vi cucinano e soprattutto vi danno da bere lo vanno a comprare appositamente per voi, in quanto solitamente loro non possono permetterselo, non comunque tutti i giorni.
El turista

Il turista rappresenta una vera e propria attività per moltissimi cubani, un vero e proprio mezzo di sostentamento. Il "fenomeno" è di lunga e difficile spiegazione. Con le dovute eccezioni da luogo a luogo o da circostanza e circostanza, al cubano e alle cubane è proibito perfino avvicinarsi al turista e anche quando questo avviene lo fanno con occhio molto vigile all'assenza di poliziotti (che però spesso, anche nelle discoteche, girano in borghese). I cubani che vengono "sorpresi" in compagnia di un turista potrebbero passare anche dei brutti quarti d'ora e vedersi sporcata la fedina penale, e di esempi ne abbiamo avuti anche nel nostro piccolo.
In questo clima di perenne "clandestinità" questi cubani avvistano e abbordano il turista di turno, per strada, nei bar, nelle discoteche, ovunque, ci fanno amicizia appurando se sia "vergine" dell'isola, e poi possono limitarsi a farsi offrire da bere oppure offrire al turista i più svariati "servizi", come un taxi, sigari, ragazze, accompagnarli in una discoteca, in un ristorante e chi più ne ha più ne metta. Il più delle volte basta un "No grazie" se non siete interessati, magari ripetuto un paio di volte, ma quasi mai la loro insistenza diventa pesante e/o violenta. Se invece accettate, cadrete inevitabilmente nella loro "rete". C'è da ammettere però che a volte conviene caderci perché il "servizio" che vi possono offrire è davvero "di qualità" e utile. In alcune circostanze si instaura tra voi e loro una sorta di rapporto di esclusiva, per cui questi si dedicano completamente a voi e alla vostra persona e il più delle volte si sfocia anche in una simpatica amicizia.

Naturalmente, prima di accettare i "servigi" di queste persone conviene cercare di capire al meglio chi avete di fronte e fino a che punto potervi fidare e alla fine comunque buttarvi rischiando un po'. Naturalmente per tutto il tempo che queste persone vi affiancheranno sarà un po' come se voi le manteneste, pagando loro da mangiare, da bere, l'entrata in discoteca ecc. E magari anche lasciando loro qualche indumento al momento dei saluti. Tutto questo "giro d'affari" si basa, come per le casas particulares, sul sistema delle comisiones (commissioni), che queste persone percepiscono da ogni discoteca, bar, ristorante, casa in cui vi hanno portato, datelo pure per scontato. Addirittura se vi fanno conoscere una ragazza e voi decidete di lasciarle un "aiuto" in denaro, una parte andrà a loro per avervi fatto conoscere.
Il jineterismo e le ragazze in generale

Argomento delicato, dibattuto, fonte di facili ironie e nel quale è fin troppo facile cadere nell'ipocrisia o nel finto perbenismo di facciata, ma di cui è altrettanto doveroso accennarne in quanto molte volte accomunato automaticamente a Cuba, come se l'isola si riducesse unicamente a questo. Non nascondo di aver appurato che per molti turisti questo è veramente l'unico motivo della permanenza ed eventuale ritorno sull'isola, ma il "fenomeno" (che comunque coinvolge anche affamate turiste straniere e italiane a caccia di aitanti cubani) va oltre ad una banale e superficiale comprensione e, secondo me, è molto bene trattato e spiegato senza false retoriche in questo link che vi invito a leggere.
Criminalità

Stando le solite e scontate regole valide in qualsiasi paese (della serie non andate in giro facendo bella mostra del vostro Rolex nuovo), il paese mi è sembrato molto più sicuro di molti altri. La polizia è quasi onnipresente e comunque i cubani non possono permettersi di "sgarrare" troppo, soprattutto coi turisti che sono considerati alla stregua di una "casta eletta" e intoccabile.

Riproduzione riservata