Chisinau

Un giorno in Transnistria

Transinistria

Periodo: settembre

Il 18 Settembre di quest’anno per me è iniziato molto presto. Addormentarsi in un vagone letto di seconda classe di un treno ucraino non è facile: le luci non vengono mai spente e tutti quelli che passano per il corridoio ti sfiorano i piedi con le loro ginocchia.

I treni sono quelli che furono costruiti ai tempi dell’Unione Sovietica: rumorosi e lenti. Gli spifferi passano dagli infissi dall’intelaiatura di legno. Nelle carrozze di seconda classe non ci sono porte. Al fine di guadagnare spazio e aggiungere un letto in più sul corridoio, le cuccette sono più corte e non c’è la parete che di solito divide lo scompartimento dal via vai del corridoio.

Risultato: l’ambiente è più simile ad una carovana di zingari piuttosto che ad un vagone notturno.

Il treno era partito da Simferopol in Crimea alle 16.30 e l’arrivo a Odessa è previsto per circa le quattro del mattino. E’ circa mezzanotte e mezza e mi sono addormentato da un paio d’ore quando il piccolo Misha, che ha poco più di un anno, inizia a piangere a dirotto nel letto di fianco al mio. Dormendo proprio di fronte a lui è ovvio che sia io il primo ad essere svegliato dal suo pianto. Sua mamma dorme proprio sul letto sopra al suo e sentendo suo figlio piangere, da buona mamma ucraina, scende dal letto usando il tavolino tra i due letti inferiori come scaletta e io spero solo che sia abbastanza sveglia da non scivolare e cadermi sopra.

Il tentativo di calmare il piccolo Misha e farlo riaddormentare si rivela abbastanza infruttuoso: Tanya cercando di addormentarlo fa più baccano del bimbo stesso ed io do definitivamente addio alle mie speranze di fare un sonno degno di questo nome.

“СПАТЬ, МИША!

ПОЖАЛУЙСТА!!” (DORMI, MISHA! PER FAVORE!!)

Suo marito Victor che dormiva assieme a sua moglie non sembra nemmeno accorgersi di tutto quel casino, probabilmente è abituato. Il viaggio procede in uno snervante dormiveglia. Ogni mio tentativo di dormire corrisponde ad un pianto di Misha oppure a qualcuno che mi urta i piedi passando per il corridoio.
Sono circa le quattro meno un quarto quando il capotreno passa sul corridoio parlando in russo ad alta voce, non capisco nulla di quello che dice, ma con molte probabilità il treno sta per arrivare a destinazione.

Preparo le mie cose, mi vesto e mi metto le lenti a contatto; ripongo nello zaino le cose che mi serviranno durante il giorno e che mi porterò sempre appresso: felpa, impermeabile, astuccio porta lenti e la bottiglietta d’acqua, mentre tutto il resto finisce nel trolley. Per ultimo piego la coperta, appallottolo le lenzuola e le infilo nella federa del cuscino.

Fuori dal finestrino è ancora buio pesto, le uniche luci in mezzo alla campagna sono quelle del treno stesso; dopo poco i binari da due diventano quattro, poi otto, poi sempre di più. Segno che stiamo arrivando a destinazione. Ormai tutto il vagone è sveglio e a tutti quelli che incrociano il mio sguardo rivolgo un “Добрый день” (Buongiorno). Proprio adesso che nel vagone è come se fosse giorno, il piccolo Misha si addormenta e anche quando smontiamo lui continua a dormire in braccio a sua mamma.

La giornata si preannuncia molto lunga, per cui è d’obbligo fare una buona colazione.  Il bar della stazione di Odessa consiste in uno stanzone anonimo con tanti tavolini tondi e sedie di ferro come quelle che si usano a scuola, su un lato ci sono dei frigo porta bibite e adiacente si trova il bancone davanti al quale si è formata una piccola coda.

Il modo migliore per fare colazione in Ucraina è il tè: il caffè come lo intendiamo noi non fanno e se lo fanno non lo fanno bene.

Non lo fanno nemmeno alla turca, si limitano a sciogliere in acqua bollente del Nescafé. Una robusta signora mi versa il tè in una tazza e io me lo porto ad un tavolino libero assieme ad una fetta di torta.

Dopo la colazione è ora di pensare alla mia igiene personale: l’ingresso ai bagni pubblici costa due Grivnia che sono ben contento di spendere. Un giro al gabinetto, lavaggio di faccia e denti e sono pronto per partire.

La destinazione è Chişinău, la capitale della Moldavia e da Odessa ci sono due modi per arrivarci: il primo è più semplice e consiste nel prendere l’autobus che passerà il confine tra Ucraina e Moldavia nei pressi del villaggio di Palanka per poi arrivare direttamente a Chişinău. L’altro modo è passare per la città di Tiraspol, il che significa attraversare la regione della Transnistria. Per ovvi motivi opto per la seconda scelta.

Fuori dalla stazione non c’è anima viva, è troppo tardi per essere notte e troppo presto per essere mattina. Gli unici presenti sono alcuni tassisti abusivi che cercano qualcuno che gli dia da lavorare. La stazione degli autobus di Odessa dista circa quattro chilometri dalla stazione dei treni e non è una buona idea percorrere quella distanza a piedi alle quattro e mezzo del mattino.

Mi avvicino al “tassista” che ha l’aspetto più normale (o meno ceffo) ed è sufficiente incrociare il suo sguardo per far si che sia lui a parlare per primo dicendo frasi a me incomprensibili.
Gli dico: “Я хочу ехать в автобуса вокзала.” (Voglio andare alla stazione degli autobus)
Lui mi guarda e dice: “Хорошо, cорок Гривния!” (Va bene, quaranta Grivnia!)
Io dico: “Давай” (Ok)

Carico la mia borsa sul bagagliaio e in pochi minuti arrivo alla stazione degli autobus; pago e ringrazio il “tassista” e m’incammino verso la sala d’attesa della stazione.

Le panchine all’interno della sala sono tutte occupate da persone che ci dormono sopra, le biglietterie sono chiuse e, sebbene ci sia un tabellone che mostra le partenze e gli arrivi, il modo migliore in Ucraina per prendere l’autobus corretto è chiedere. Chiedere a chiunque.

Parcheggiati sul piazzale ci sono molti autobus o marshrutke (minibus) con destinazioni diverse: Kiev, Izmayil, Kherson, Mykolayv, Uman… Cammino davanti a questi finché ne trovo uno diretto a Chişinău che però fa il giro per Palanka. Un uomo che sarebbe potuto essere l’autista sta fumando una sigaretta a fianco del pulmino, mi avvicino e chiedo:

“Исвините. Где автобус для Тираспол?” (Mi scusi, dov’è l’autobus per Tiraspol?)
Lui non dice nulla e indica la piattaforma numero due.
Io gli dico: “Спассиба. В котори часу?” (Grazie, a che ora?)
Lui indica l’orologio e dice: “Семь.” (Sette)

Ormai sono le cinque del mattino e il cielo inizia a schiarirsi piano piano. Guardandomi intorno, le cose che mi circondano iniziano a prendere colore e forma, si capisce a poco a poco che quella non sarebbe stata una giornata di sole e che le nuvole grigie mi avrebbero accompagnato tutto il giorno. Mentre fa chiaro, arrivano altri passeggeri che smontano dagli autobus o che ne aspettano uno come me; si svegliano anche i cani: non me la sentirei di definirli randagi, piuttosto sono cani che hanno molti padroni; c’è un bastardino bianco al quale tutti fanno una carezza e lasciano qualcosa da mangiare.

Verso le sette meno un quarto il sole è già sorto da qualche minuto, anche se non è possibile vederlo dietro le nuvole. In quel momento si accosta alla piattaforma numero due un autobus che sul parabrezza aveva un cartello con su scritto: ОДЕССА - ТИРАСПОЛЬ - КИСИНЕВ (Odessa – Tiraspol – Kisinev).
Scende un autista e una signora gli si avvicina chiedendogli proprio quello di cui volevo essere sicuro: l’autobus è diretto a Chişinău passando per Tiraspol.

Mi avvicino io all’autista e gli chiedo: “Сколко для Тираспол?” (Quanto per Tiraspol?)
Lui risponde “Сто Гривния” (Cento Grivnia)
Pago, lascio la borsa nel bagagliaio e prendo posto in fondo all’autobus aspettando la partenza.

Mentre la gente sale nell’autobus tre personaggi (tra cui l’autista) aprono il cofano dell’autobus per controllare il motore che si trovava proprio sotto il mio sedile.

L’autista accende il motore e i tre si rimettono a fissare il motore che inizia a scalpitare e scoppiettare, ogni tanto confabulano, ogni tanto armeggiano con una chiave inglese e si puliscono le mani sporche di olio su degli stracci.
Hanno uno sguardo del tipo: “Mah… proviamoci… vediamo come va…”.

Il rapporto degli ucraini con i motori è di vecchia data, questo perché la maggior parte di loro guida una Lada o una Volga che ha ereditato dai suoi padri o addirittura dai suoi nonni.

I sovietici erano molto bravi a costruire razzi, carri armati e stazioni spaziali orbitanti, ma automobili affidabili proprio no. Non è raro vedere per le strade di Kiev alcune Volga costruite quarant’anni fa ferme in panne ad un incrocio con il cofano aperto e il conducente che, ormai abituato ed esperto, sistema il dado, la guarnizione, il tubo o che so io.

Alle sette e qualche minuto sembra tutto pronto, il cofano dell’autobus viene chiuso, l’autista sale a bordo e si parte. Il traffico di Odessa è ancora leggero e in pochi minuti siamo già usciti dalla città, in periferia l’autista si ferma per fare il pieno di carburante. In autobus non parla nessuno. Gli ucraini, come un po’ tutti i popoli ex-sovietici, sono molto introversi e riservati. Io in quell’autobus sono l’unico non ucraino o moldavo, in un certo senso sono l’unico extracomunitario o, in un altro senso, sono l’unico comunitario.

A rompere il silenzio è l’aiutante dell’autista che ad un certo punto si alza e si rivolge ai passeggeri dicendo cose a me incomprensibili ed inizia a distribuire a tutti un foglio. Si tratta di un modulo da compilare per poter entrare in Transnistria. La Transnistria formalmente non è uno stato, ma di fatto lo è: a seguito della caduta del muro di Berlino nel 1989 l’Unione Sovietica si è disgregata e la Moldavia nel 1991 ha finalmente ottenuto l’indipendenza da Mosca.

Ci sono due entità all’interno della Moldavia che hanno ottenuto ampia autonomia dallo stato moldavo a causa delle marcate minoranze etniche al loro interno: una è la Repubblica della Gagauzia che ha accettato queste condizioni (in Gagauzia la Moldavia gestisce solo la politica estera e la difesa) e una è la Repubblica della Transnistria che di queste condizioni non ne vuole sapere e pretende completa indipendenza.

Lo scontro con la Moldavia era inevitabile e per due anni si è consumata in Moldavia la guerra civile dove circa duecento persone, tra soldati e civili, hanno perso la vita.

Il cessate il fuoco ha portato sicuramente alla fine della guerra, ma non ha risolto la questione sullo status della Transnistria che si considera indipendente a tutti gli effetti, ma che non gode di nessun riconoscimento internazionale, tantomeno quello moldavo. Come dicevo per poter entrare in Transnistria è necessario compilare un modulo. Il modulo è composto da due parti identiche se non fosse che una è per l’arrivo e uno è per la partenza. Fortunatamente il modulo riporta la doppia dicitura russo/inglese (il russo è la lingua ufficiale della Transnistria) e alcuni campi come nome, cognome e numero di passaporto sono facili da compilare.

La questione si fa più complicata quando mi viene chiesto il “numero della carta d’immigrazione”: non ho una carta d’immigrazione e tantomeno ho il numero della carta d’immigrazione. Il dilemma si presenta anche quando mi viene chiesto il motivo della visita in Transnistria: sicuramente non sono lì per lavoro, famiglia o studio. Sono indeciso se segnare “transito” o “turismo”.

Avendo intenzione di visitare Tiraspol e di fermarmi lì per pranzo non avrei voluto che, segnando “transito” all’uscita dalla Transnistria mi chiedessero: “Signor Tessaro, ma come mai per attraversare la Transnistria ha impiagato sette ore? Che cosa ha fato in questo periodo? Ci segua in centrale, va...”
Decido di fare l’onesto e segno “turismo”, data di arrivo 18/09/13, data di uscita 18/09/13 e non scrivo nulla nel campo riservato all’indirizzo presso cui alloggio a Tiraspol, per il semplice motivo che non ne avevo uno.

Il confine si avvicina e un timido sole cerca di farsi spazio tra le nuvole, file di platani con le foglie che iniziano ad ingiallire costeggiano la strada il cui asfalto è disseminato di buche che mettono a dura prova le sospensioni dell’autobus.

Al di là dei platani c’è solo la campagna ucraina, sterminata e vuota visto che il grano è già stato mietuto. La città sul confine ucraino si chiama Kuchurgan, se città si può definire, visto che si tratta più che altro di un agglomerato di negozietti alimentari, officine meccaniche, gommisti e tutte quelle attività che fioriscono presso i punti di confine tra nazioni come i cambiavalute. Il posto di frontiera è caratterizzato da prefabbricati, caselli e tettoie azzurri e gialli, proprio come la bandiera che sventola in cima ad un’asta e che segna il limite dello stato ucraino.

La bandiera ucraina è una foto del paesaggio ucraino: la banda azzurra superiore simboleggia un cielo sereno e la banda gialla inferiore simboleggia il grano che da secoli si coltiva in Ucraina e che in passato ha fatto di questa terra il granaio dell’Unione Sovietica. Una guardia di confine in uniforme sale in autobus e chiede i passaporti, passando accanto ai passeggeri l’ufficiale raccoglie tutti i documenti e quando gli consegno il mio, si blocca per un attimo, mi fissa guardandomi negli occhi e mormora: “Итальянец…?!?” (Italiano…?!?)

Una volta che la guardia è scesa, passano più di venti minuti prima che l’autista, che per la cronaca è l’unico che può scendere e salire dall’autobus, salga a bordo e dia i passaporti ad un passeggero il quale a sua volta li distribuisce a tutti gli altri. Torno in possesso del mio passaporto e proprio di fianco al timbro rosso di entrata che mi avevano apposto la settimana prima all’aeroporto di Zhulyany di Kiev ce n’è uno uguale che però riporta una freccia opposta che indica l’uscita e il nome della città di Kuchurgan.

La terra di nessuno tra Ucraina e Transnistria è attraversata da un fiumiciattolo che in certi punti assomiglia più ad una palude e che è delimitato su entrambe le sponde da una rete con in cima del filo spinato.

Dal giallo-azzurro si passa al rosso-verde che sono i colori della bandiera della Transnistria: la Transnistria ha adottato come propria bandiera quella dell’ex Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia e riporta ancora la falce e martello nell’angolo superiore sinistro.

Arrivato al posto di confine, l’autobus accosta e immediatamente sale una guardia ad ispezionare l’autobus e a raccogliere i passaporti e i moduli compilati: nel lasciare il modulo alla guardia un insieme di dubbi mi assale, regna in me il sospetto che qualcosa sarebbe potuto andare storto. La salivazione si è bloccata e il mio cuore ha iniziato a pompare sangue nelle vene a ritmi più serrati. I passaporti ucraini o moldavi sono blu, blu scuro o neri. Non saprei dire se sia passato un quarto d’ora o mezz’ora, ma improvvisamente l’autista sale nell’autobus con in mano un solo passaporto di colore rosso scuro, lo alza per poter leggere meglio il nome e fa un profondo respiro prima di pronunciare: “TIESSSARUO”.

Se prima stavo pensando a quello che poteva andare storto in quel momento ho definitivamente smesso di pensare. Sono seduto in fondo all’autobus e lo percorro tutto arrivando fino all’autista, lui mi consegna il mio passaporto, il modulo che avevo compilato e mi indica il casello dove le guardie controllavano i passaporti degli automobilisti. Mi presento di fronte all’ufficiale e consegno passaporto e modulo, lui mi guarda e mi chiede: “Откуда?” (Presso dove?)
Io capisco la sua domanda, ma per me è un’impresa riuscire a spiegargli le mie ragioni in russo.

Faccio un tentativo: “Исвините, я не говорю по-русски. Говориещ ли ты по-англискыи?” (Mi scuso, io non parlo russo. Tu parli inglese?)
Risposta: “Нет!” (No!)

Io di russo conosco i numeri, qualche parola e qualche frase fatta e in quel momento dovevano essermi sufficienti per spiegare alla guardia che non avevo intenzione di fermarmi e dormire a Tiraspol, ma che sarei andato a Chişinău e che di conseguenza non avevo un indirizzo dove dormire.

Penso che se tutto va nel migliore dei modi mi avrebbe capito, se va così così forse non potrò fermarmi a Tiraspol e dovrò tirare dritto fino a Chişinău e se va male potrei rimanere bloccato lì ed essere costretto a tornare indietro.

Spazzo via questi brutti pensieri, prendo fiato e inizio: “Сегодния я не спаю в Тираспол. Эта вечера я хочу ехать в Кисинев!” (Oggi io non dormo a Tiraspol. Questa sera io voglio andare a Chişinău!)
La guardia mi fissa per un istante, poi abbassa lo sguardo sul modulo e mi dice: “Адрес!” (Indirizzo!)
Io riprendo fiato: “У мня нет адреса. Я не спаю в Тираспол!” (Io non ho un indirizzo. Io non dormo a Tiraspol!)
La guardia mi fissa tamburellando le dita sulla scrivania e ripete: “Адрес!” (Indirizzo!)
Io indico il modulo e gli chiedo: “Сколко часу для трансит?” (Quante ore per il transito?)
Lui mi fissa in silenzio, appoggia la schiena sulla sedia dove era seduto e mi mostra entrambe le mani dicendomi: “Десять!” (Dieci!)
Io indico nuovamente il modulo e gli dico: “Хорошо! Трансит! Трансит!” (Bene! Transito! Transito!)
E’ quasi fatta.

La guardia scrive sul modulo modificando il motivo da turismo a transito, taglia il modulo in due restituendomi la parte che dovrò consegnare all’uscita dalla Transnistria, appone un timbro verde con la data e mi restituisce i documenti. Prima di lasciarmi andare prende il suo cellulare, un vecchio Motorola che sul display visualizzava l’ora, indica l’ora e mi dice: “Семь часу (alle sette), out of Transnistria, if not, biiiig problem! ” enfatizzando la grandezza del problema con un gesto delle mani come a riprodurre un palloncino che si gonfia.

Io chino il capo come gesto di ringraziamento e gli dico: “Давай! Спассиба!” (Ok! Grazie!) L’autobus è pronto per partire e aspetta solo me, salgo con uno zompo e ritorno al mio posto; mentre passo tutti i passeggeri mi guardano come se fossi un alieno.

L’ingresso in Transnistria si è rivelato più emozionante del previsto.

Un grande cartello raffigurante lo stemma della repubblica dà il benvenuto ai visitatori della Transnistria e il paesaggio riprende da dove lo avevo lasciato con i platani che costeggiano la strada e che la separano dai vasti campi circostanti. A darmi il benvenuto nella piccola repubblica separatista è anche la pioggia che inizia a cadere dalle nuvole che via via si fanno sempre più cupe e minacciose; la pioggia entra dalle fessure dei vecchi infissi dell’autobus.
La repubblica della Transnistria è una sottile striscia di terra tra il confine ucraino e il fiume Dniestr o Nistru in moldavo, per cui raggiungere Tiraspol è questione di pochi minuti.

La stazione degli autobus di Tiraspol è poco più di un piazzale di fronte alla stazione dei treni. Una volta sceso recupero il mio bagaglio e mi riparo dalla pioggia nella sala d’attesa della stazione che è completamente deserta fatta eccezione per un paio di uomini con il giubbotto di pelle, una donna delle pulizie e alcune impiegate alla biglietteria.

Il bagaglio dove tengo la mia roba è troppo ingombrante per portarmelo in giro per la città per cui chiedo ad uno dei due uomini se sanno dove è la камера хранения (deposito bagagli), uno dei due mi indica una donna ad uno sportello opposto a quello delle biglietterie. Mi presento allo sportello e saluto l’impiegata: “Добри день, эта камера хранения?” (Buongiorno, è questo il deposito bagagli?).

La donna risponde di si e io le mostro il mio bagaglio.
Lei lo guarda e inizia a parlarmi in russo e io non capisco nulla di quello che mi dice.
Io con aria mortificata le dico: “Исвините, я не понимаю…” (Mi dispiace, io non capisco…)
Lei prende un foglietto di carta e scrive:  1330.
Io le chiedo: “Эта часу закрытый?” (Quest’ora chiuso?)
Anziché rispondere sì o no, come io speravo, la donna inizia ad irritarsi e ad alzare la voce parlando in russo.

Mi rassegno: penso che comunque lascerò lì il bagaglio e mi presenterò a ritirarlo all’una e venti in modo che se è le tredici e trenta sono l’ora di chiusura sono in tempo per ritirare il bagaglio altrimenti lo prenderò all’una e mezza quando riapre.
Io le dico: “Давай! Сколько?” (Va bene! Quanto?)
Lei risponde: “Два Рублья.” (Due Rubli.)
Io non avevo ancora cambiato i soldi e le dico: “Я покупаю в Гривния.” (Io compro in Grivnia.).
La donna s’irrita ancora di più, mi fa capire che non è possibile e che devo pagare in Rubli.
Prendo il bagaglio e mi reco all’esterno della stazione dove avevo intravisto il cambiavalute.

Mi affaccio allo sportellino che è proprio piccolo e do all’impiegata tutti i Grivnia che avevo, lei batte con forza le dita sulla calcolatrice e mi stampa una ricevuta che mi consegna assieme ad una somma di Rubli che ha calcolato in base a non si sa quale tasso di cambio, visto che non ne esistono di ufficiali.
Col portafoglio pieno di Rubli transnistriani ritorno dalla donna del deposito bagagli e scopro che lo sportello è coperto da una tendina e la donna è sparita.
A fianco dello sportello ce n’è un altro con una signora anziana in fila e una ragazza che fa biglietti. Una volta che la signora ha finito, ancora prima che io possa dire qualsiasi cosa, la ragazza si alza dalla sedia, alza le mani come a dire “io non so nulla” e abbassa pure lei la tendina. Mi è subito chiaro che la vita in Transnistria è molto dura.

Colgo subito il lato positivo della situazione: visto che sono tenuto a lasciare la repubblica alle sette di sera è molto meglio se il mio bagaglio me lo porto sempre appresso in modo da non dover rimanere bloccato alla stazione perché non riesco a recuperarlo.

Uscito dalla stazione, vedo un autobus urbano fermo di fianco al marciapiede, mi dirigo verso quella direzione, salgo e chiedo all’autista: “Центр города?” (Centro città?).

L’autista fa stancamente cenno col capo di sì, io pago i due rubli per la corsa e mi siedo.
Dopo poche centinaia di metri l’autobus ferma in ulitza 25 Октябрь (25 Ottobre, in onore della Rivoluzione Bolscevica), la via principale di Tiraspol ed io scendo a quella fermata.
Le strade nella capitale della Transnistria hanno nomi che rimandano chiaramente al periodo sovietico: ul. Sovietskaya, ul. Karl Marxa, ul. Lenina, ul. Kommunisticheskaya oppure ul. Sverdlova.
La Transnistria vorrebbe essere l’ultimo baluardo dell’eredità comunista dell’Unione Sovietica. In realtà notando le catene di supermercati Sheriff, i distributori di benzina sempre di proprietà della Sheriff (la più grande e influente azienda transnistriana) e vedendosi attraversare la strada da un Porsche Cayenne si capisce che di comunismo e di ideali di uguaglianza e condivisione ce ne sono ben pochi.
Come i loro vecchi predecessori sovietici i transnistriani sono solamente passati da una dittatura mascherata da buone intenzioni ad un’altra.
L’attuale presidente, tale Igor Smirnov, è a capo della Transnistria dal 1991 e sembra non voler lasciare la poltrona.
Il signor Sheriff in realtà è Oleg Smirnov (guarda caso il figlio del presidente) e la comunità internazionale sospetta che la Sheriff abbia influenze notevoli nella politica nazionale (ma va?) e che parte dei suoi enormi profitti derivino da attività illegali o legate al contrabbando (ma va??).

Via 25 Ottobre è praticamente l’unica via di Tiraspol e su di essa si affacciano tutte gli esercizi commerciali della città, nelle vie parallele s’intravedono solo palazzoni sovietici e condomini.

Il cielo sembra volermi dare la possibilità di visitare Tiraspol e si dimostra clemente interrompendo per qualche ora la pioggia che fino a qualche minuto prima era incessante.

Decido di percorrere Via 25 ottobre verso Ovest dove terminerà su Ploshad Konstitutii. Il trolley che mi porto appresso si blocca ripetutamente sulle buche del marciapiede e più volte sono costretto a sollevarlo per evitare che finisca dentro ad una enorme pozzanghera. Le attività commerciali lungo la strada forniscono essenzialmente servizi di prima necessità: Продукты (alimentari), edicole e Cалон Kрасоты (saloni di bellezza/parrucchieri) che sono moltissimi in Ucraina; in Ucraina si trovano parrucchiere come in America si trovano i McDonald’s.

Ormai in prossimità della Piazza della Costituzione noto due bandiere che sventolano sopra una porta inserita tra un negozio che compra oro e argento e un negozio di abbigliamento femminile; riconosco le bandiere e capisco che al piano superiore, dietro a quelle vecchie finestre di legno e a quei muri stinti si trovano le ambasciate degli unici paesi che hanno riconosciuto a livello internazionale la Repubblica della Transnistria: la Repubblica dell’Abkhazia e la Repubblica dell’Ossezia del Sud.

Abkhazia e Ossezia del Sud sono anch’esse repubbliche separatiste all’interno del territorio georgiano e anche loro, come la Transnistria, non godono di alcun riconoscimento internazionale ufficiale. Sembra quasi vogliano dire: “Ok, nessuno ci caga, almeno caghiamoci tra di noi…”.
Dopo pochi metri, Via 25 ottobre si apre, le corsie da una per senso di marcia diventano tre per ogni senso e sulla lunga aiuola spartitraffico che divide le due carreggiate si nota immediatamente un megaschermo di almeno quattro metri di larghezza che con regolarità mostra slogan inneggianti la Transnistria, Tiraspol o il giorno dell’ indipendenza, il 2 Settembre, che è da poco trascorso.

La strada così larga fa pensare ad un traffico intenso e caotico che in realtà non esiste, per strada circolano solo alcune marshrutke, autobus urbani e qualche automobile.

I marciapiedi sono percorsi da anziane signore o da alcuni impiegati e lavoratori che tornano a casa per la pausa pranzo.
Il cielo cupo e grigio si adatta perfettamente a quest’ambientazione sovietica.

Le panchine e i corrimano, la cui ruggine sta lentamente rimuovendo la vernice colorata di un tempo, circondano il parco adiacente al cimitero degli eroi.
Il cimitero degli eroi è un monumento che commemora i soldati caduti durante la guerra contro la Moldavia. Di fronte ad un carro armato transnistriano brucia una fiamma perpetua tra le tombe adornate con ghirlande di fiori di quattro soldati che si sono particolarmente distinti negli scontri. Oltre le tombe una breve scalinata porta ad una parete di marmo rosso scuro dove sono incisi i nomi di tutti i soldati che persero la vita nei combattimenti.
A pochi metri dal cimitero verso Sud scorre il fiume Dniestr che fa da confine tra la Transnistria e la Moldavia, però in quel punto al di là del fiume le autorità transnistriane continuano ad esercitare il loro potere in quanto la città di Bendery (o Tighina in moldavo) e il villaggio di Chitcani sono gli unici territori transnistriani oltre il fiume.

Dall’altra parte della strada una statua di Lenin fa da guardiana al palazzo presidenziale che non è altro che un casermone sovietico come ce ne sono tanti. Quello che contraddistingue il palazzo è l’altezza, che non è eccessiva, ma supera di molti piani tutti gli edifici circostanti che in molti casi non raggiungono i tre.  Attraversando la strada e percorrendo via 25 Ottobre in senso contrario si raggiunge Ploschad Konstitutii che è dominata dalla statua equestre di Alexandr Vasil’evic Suvorov, uno dei più grandi generali russi del diciottesimo secolo.

Attorno alla statua si snodano una serie di sentieri ciottolati costeggiati da panchine che vengono utilizzate dai transnistriani come bancarelle per cercare vendere i loro prodotti.

In Ucraina e Moldavia è molto facile trovare di giorno agli incroci delle strade delle signore anziane che vendono i prodotti del loro orto, le uova delle loro galline o il latte delle loro mucche e altri prodotti alimentari; a Tiraspol invece la gente vende qualsiasi cosa: una donna vende delle scarpe usate, più avanti una signora anziana vende il contenuto degli stipetti della sua cucina: pentole, padelle in alluminio, una caffettiera e altre vecchie stoviglie, un uomo vende gli indumenti da bambina di sua figlia che evidentemente ormai è cresciuta: un paio di jeans, una maglietta di cotone, un paio di scarpette, una camicetta.

Quello che più mi colpisce e più m’impressiona sono due signori anziani che sulla panchina espongono dei rubinetti che cercano di vendere. I rubinetti sono arrugginiti in più punti, soprattutto in prossimità dell’estremità rivettata dove va fissato il dado, ad alcuni mancano le manopole ed altri sono visibilmente danneggiati.  Non so cosa pensino quei signori quando si vedono passare di fronte una Lexus LX con la targa transnistriana, forse è ora di rendersi conto che il paradiso socialista di cui i leader della Transnistria parlano non esiste e non è mai esistito.

Ormai è ora di pranzo e la mia attenzione è attirata da un adesivo che segnala una rete Wi-Fi gratuita all’interno di una pizzeria facente parte della catena Andy’s Pizza, molto popolare in Moldavia. La connessione ad internet è molto importante in quanto devo ancora prenotare l’alloggio a Chişinău e con l’accesso ad internet ho la possibilità di trovare l’ostello adatto e fare una telefonata con Skype per prenotare. Una gentile cameriera mi da il benvenuto nel locale e mi fa sedere ad un tavolo.

Leggo il menù e mi rendo conto che la scelta delle pizze si limita a: margherita, prosciutto, salamino e capricciosa.
Ordino una pizza con il salamino e una birra piccola. Mentre aspetto, contatto il Trotter Dan Hostel di Chişinău per prenotare un letto per la notte.
La pizza che mi viene servita era stata con ogni probabilità scongelata e ricorda moltissimo la Big American della Cameo. Il pranzo è comunque piacevole e nel frattempo il locale inizia a riempirsi, entrano famigliole e coppiette che possono permettersi il lusso di una pizza al ristorante.
Finito il pranzo pago e lascio 20 Rubli di mancia alla cameriera che era stata davvero gentile. Non dimentico il mio trolley e ritorno in Via 25 Ottobre.
All’estremità orientale della via si trova il Домсоветов (Casa dei Soviet) dove hanno sede gli uffici amministrativi della città.
Come al palazzo presidenziale anche qui il compagno Lenin sembra essere un guardiano che scruta dall’alto del suo piedistallo tutti coloro che si recano all’interno dell’edificio.

Foto ritraenti influenti personalità transnistriane sono appese ai lati dell’edificio: si intravedono generali, uomini politici, dottori e perfino un cosmonauta. Ormai sono le due del pomeriggio e decido che è il caso di tornare in stazione e prendere l’autobus per Chişinău onde evitare “biiig problems”. Tornando alla stazione a piedi, passo di fronte alla fabbrica Kvint, fiore all’occhiello dell’industria transnistriana, si tratta infatti di una delle più antiche e rinomate distillerie della regione e ogni anno vengono prodotti circa dieci milioni di litri di bevande alcooliche che vengono esportati in tutta l’Europa dell’Est.
Nella strada per giungere in stazione si trova anche il parco dedicato al rivoluzionario bolscevico Kirov in cui l’ordine e la pulizia del parco stridono notevolmente con i caseggiati che lo circondano, dove spesso le finestre sono sostituite da pezzi di lamiera inchiodati alle intelaiature.

Il tempo si rivela quanto mai benevolo: infatti inizia a piovere proprio quando trovo parcheggiato sul piazzale della stazione un autobus che mostra sul parabrezza un cartello con su scritto КИСИНЕВ.

L’autista è già al volante e una signora fa salire i passeggieri, le chiedo: “Исвините, где билиет?” (Mi scuso, dove il biglietto?) Prima di rispondere alla mia domanda mi chiede: “У тибе есть документ?” (Tu hai il documento?)
Si riferisce chiaramente alla metà inferiore del modulo che avevo compilato quando sono entrato in Transnistria.

Io rispondo “Да” e le mostro il documento.
Lei mi carica il trolley nel bagagliaio dell’autobus e mi fa cenno di seguirla per fare il biglietto, entriamo nella biglietteria della stazione dei treni dove c’è solo una signora anziana che mi precede nella fila. Arrivato il mio turno le dico “Кисинев, пожалуйста.” e subito la bigliettaia mi stampa uno scontrino che fungerà da biglietto, pago trentanove Rubli e venti kopeki e ringrazio.
La signora che mi ha accompagnato mi mette fretta per salire sull’autobus che a quanto pare è in procinto di partire, ma le faccio presente che devo andare alla toilette.
Mi fa capire che ho pochi minuti e quindi faccio in fretta: pago due Rubli alla signora delle pulizie che tiene puliti i bagni ed espleto le mie necessità fisiologiche.
Uscendo dal bagno mi rendo conto che ho ancora nel portafoglio un numero imprecisato di Rubli transnistriani che al di fuori della Transnistria sono considerati banconote del Monopoli e che quindi voglio cambiare il prima possibile.

Mi presento allo sportellino dove avevo cambiato i Grivnia poche ore prima, ma è chiuso. Mi guardo intorno e ne noto un altro poco distante; do alla cassiera tutti i Rubli che ho e le dico “Leu moldoveu, пожалуйста”. Pur storpiando completamente l’aggettivo “moldavo” in qualcosa simile a “moldovianese” e pur avendo mischiato parole russe e rumene, la cassiera deve avermi comunque capito.

La cassiera fa i suoi conti in base a tassi di cambio che sa solo lei e mi restituisce la ricevuta assieme ad una somma di Lei moldavi.

Quando monto in autobus ci sono tre o quattro signore che aspettano la partenza dell’autobus guardando una telenovela russa o ucraina alla tv che è montata proprio sopra allo specchietto retrovisore. Dopo pochi minuti l’autista da gas al motore e l’autobus attraversa le vie di Tiraspol. Appena usciti dalla città, passiamo di fianco al nuovissimo e modernissimo stadio dove gioca lo Sheriff di Tiraspol (di proprietà ovviamente della famiglia Smirnov) che da più di dieci anni domina incontrastato il campionato di calcio moldavo.

Dopo un paio di chilometri raggiungiamo il ponte che attraversa il Dniestr e collega la capitale alla città di Bendery; attraversato il ponte sembra che la città sia ancora in guerra: dall’autobus si vedono le installazioni militari e le trincee ancora mimetizzate e pattugliate da soldati transnistriani. L’unico sito d’interesse di Bendery è la fortezza medievale che fu costruita dai turchi nel sedicesimo secolo che adesso funge da quartier generale delle milizie transnistriane ed è quindi inaccessibile. L’autobus si ferma per qualche minuto alla stazione degli autobus di Bendery e mentre altri passeggeri salgono nell’autobus, l’autista ne approfitta per scendere e fumare una sigaretta.

Una volta ripartiti è questione di minuti prima di raggiungere il confine con la Moldavia. L’autobus si ferma sotto una tettoia e immediatamente sale una donna in uniforme militare transnistriana che raccoglie i passaporti e i documenti necessari per l’uscita dalla repubblica.
L’uscita si rivela molto più tranquilla rispetto all’entrata e dopo una manciata di minuti di attesa la signora che faceva da assistente all’autista risale a bordo con i passaporti e li distribuisce ai passeggeri.

Guardando fuori dal finestrino è possibile vedere in lontananza il posto di blocco moldavo dove sventola la bandiera che i moldavi hanno copiato dai rumeni aggiungendo solamente il loro stemma nazionale al centro per poterla distinguere.

Va ricordato che prima della seconda guerra mondiale la Moldavia faceva parte della Romania, i sovietici se la sono presa come risarcimento dei danni di guerra.

Dopo meno di un centinaio di metri l’autobus si ferma nuovamente per far salire un militare moldavo che si limita ad ispezionare l’interno dell’autobus.
Niente passaporti questa volta: per i moldavi la Repubblica della Transnistria non esiste e quindi non esiste nemmeno un confine tra Transnistria e Moldavia.
L’annosa questione sul perché manchi un timbro di entrata in Moldavia sul mio passaporto troverà risposta quando l’indomani mattina mi recherò all’ufficio immigrazione di Chişinău per regolarizzare la mia posizione in Moldavia, ma questa è un’altra storia.

La campagna domina lo spazio tra Tiraspol e Chişinău e il sole rispunta fuori dalle nuvole per illuminare il paesaggio, dove i campi di grano che caratterizzavano l’Ucraina lasciano il posto a vasti vigneti che hanno reso per decenni la Moldavia il maggiore e il più rinomato produttore di vino dell’Unione Sovietica e dell’Est Europa. La capitale della Moldavia si presenta subito come una vecchia e stanca città sovietica. Palazzoni vetusti e blocchi di condomini riempiono la periferia dando alla città un aspetto trasandato e malconcio.

A differenza di Tiraspol il traffico è molto più sostenuto e sono necessarie alcune decine di minuti prima di raggiungere la trafficatissima auto gara central, la stazione degli autobus centrale. Il via vai di persone e mezzi è talmente intenso che l’autista ferma l’autobus in mezzo alla strada e fa scendere tutti i passeggeri. Io recupero il mio bagaglio e mi rendo subito conto del perché di tutto quel casino.

Non ho idea da quale mente perversa abbia avuto la brillante idea di costruire la stazione degli autobus proprio dietro al mercato cittadino.

Non esiste una demarcazione chiara di dove finisca il mercato e dove inizi la stazione. Alcune bancarelle sono sul marciapiede a ridosso delle marshrutke che stanno caricando passeggeri aspettando di partire, gli autobus sono costretti a fermarsi proprio di fronte ai commercianti e i passeggeri devono prestare attenzione a non urtare le bancarelle che si trovano davanti mentre scendono. Guardandosi intorno sembrerebbe di essere a Istanbul o a Baghdad; il clacson viene usato in continuazione da ogni autista per qualsiasi motivo e l’odore di gas di scarico è marcato e pungente.
 Il caos regna sovrano: le marshrutke partono senza orari precisi e sostano dove trovano posto. Nemmeno un moldavo potrebbe trovare la marshrutka giusta senza chiedere informazioni in giro. Attraversare il mercato di Chişinău è un’esperienza. Ci sono bancarelle che vendono qualsiasi cosa: scarpe, jeans, abbigliamento, giocattoli, cartolibreria, profumi e saponi, caramelle e dolciumi, cappelli, articoli per la casa e tantissimi altri oggetti.

La zona degli alimentari è molto vasta e raduna al suo interno moltissimi agricoltori e allevatori che raggiungono Chişinău per vendere i prodotti del loro orto, dei loro campi o della loro fattoria.  Semi, formaggi, salumi, carne secca, verdure, ortaggi, frutti, miele, frutta secca e qualsiasi altro genere alimentare riempie i banconi attentamente custoditi dai proprietari che servendosi di bilancia e calcolatrice calcolano gli importi che gli acquirenti pagano per portare a casa la cena. Le arance, le mele e altri frutti tondi sono meticolosamente disposti a piramide sui tavoli dei venditori; sembra quasi che questi frutti vogliano sfidare il trambusto e il caos circostante mantenendo l’equilibrio e la stabilità nonostante una marea di gente sfiori in continuazione le bancarelle.
Lasciato il mercato alle mie spalle, mi ritrovo in nella via principale di Chişinău che è intitolata a Stefan Cel Mare, un principe medievale considerato un eroe nazionale in Moldavia.

Una miriade di impiegati, lavoratori, anziani, ragazzini e mamme con i figlioletti percorrono l’ampio marciapiede in entrambe le direzioni; la distanza dalla vicina Tiraspol si nota anche da questo.  L’ostello si affaccia proprio sulla via principale e quindi non ho troppe difficoltà a trovarlo. Sulla soglia della porta di entrata una ragazza bassa e paffutella fuma una sigaretta; le chiedo se è il posto che sto cercando.

Lei mi sorride e mi chiede se sono io quello che le ha telefonato da Tiraspol poco prima, rispondo di si e mi fa entrare. L’ostello è ricavato da un appartamento al primo piano di un condominio. Cucina e reception condividono la stessa stanza, un salotto con divano e tv fa da zona comune e in due stanze da letto si trovano quattro letti a castello ciascuna.

Non c’è un bagno unico, o meglio, di bagno ce n’è solo uno per tutti gli ospiti, ma è diviso in due; nel senso che il gabinetto è in una stanza, mentre doccia e lavandino sono in un’altra. Nel complesso l’ostello è ben curato e pulito; la ragazza mi dà le lenzuola e la federa, indica una stanza e mi dice che posso scegliere il letto che preferisco. In camera trovo i miei compagni di stanza: un signore americano e un ragazzo svizzero dei quali non ricordo i nomi.
L’ostello è dotato anche di servizio lavanderia, tradotto significa che ha una lavatrice. Calzini e mutande pulite iniziano a scarseggiare nel mio bagaglio quindi faccio un bel pallottolone dei miei panni sporchi, metto un paio di cucchiai di detersivo e premo il tasto avvio.

Fermo la ragazza che gestisce l’ostello e pago le due notti che starò lì e il giro in lavatrice: in totale sono 330 Lei (18,96 Euro).  E’ arrivato il momento di visitare Chişinău che è ritenuta la capitale più verde d’Europa. Ormai sono le sei del pomeriggio e il sole impiegherà ancora qualche ora per tramontare quindi scendo in Via Stefan Cel Mare e mi dirigo verso il centro in direzione Nord-Ovest. Per essere l’ora di punta il traffico non è intenso sulle strade, ma lo è in compenso sui marciapiedi dove ad ogni incrocio ci sono donne anziane con un fazzoletto in testa che vendono frutti e ortaggi ai passanti.

In pochi passi raggiungo Parcul Catedralei dove sorge la piccola e bianca cattedrale ortodossa di Chişinău dietro al basso e tozzo campanile; a ridosso della strada una grande bandiera moldava sventola all’interno del maestoso Arco di Trionfo che commemora la vittoria dell’esercito zarista su quello ottomano.

La giornata è stata lunga e intensa e approfitto di una delle tante panchine del parco per sedermi un po’, riposare e osservare la gente che passa.
Attorno a me alcune coppiette passeggiano tenendosi per mano, i bambini giocano sul piazzale della cattedrale inseguendo i piccioni altri corrono con la bicicletta, le mamme controllano i loro figli e dei signori anziani siedono sulle panchine leggendo il giornale. Oltre la strada, al di là dell’Arco di Trionfo, sorge il Palazzo del Governo. Sembra quasi una riproduzione in scala della mastodontica Casa Poporului o Palazzo del Parlamento di Bucarest; in effetti in Moldavia tutto sembra più piccolo rispetto a quanto siamo abituati: una piccola nazione, una piccola capitale, un piccolo parco, un piccolo parlamento e una piccola cattedrale con un piccolo campanile.

Di fianco al Palazzo del Governo si trova la “Gradina Publica Stefan Cel Mare si Sfint” e a dare il benvenuto all’entrata del parco è proprio la statua di Stefan Cel Mare: i moldavi raccontano che durante la sua vita perse solo due delle decine di battaglie che combatté, un vero eroe nazionale. Mentre sono a ridosso della statua vedo in lontananza all’interno del parco un uomo dall’aria parecchio trasandata che cammina faticando a reggersi in piedi, probabilmente avendo esagerato un po’ troppo con la vodka. Al momento di fare due scalini il pover’uomo scivola e sbatte pesantemente la testa sul muretto che delimitava i gradini.

Il tonfo è secco. La testa non rimbalza nemmeno e l’uomo rimane fermo immobile come accovacciato intento ad osservarsi i piedi.
I passanti sembrano non curarsi di quanto è successo e continuano nella loro direzione come se l’episodio fosse una noiosa consuetudine.

A due ragazze tutto ciò non passa inosservato e iniziano a chiedere aiuto; dopo aver fermato due ragazzi robusti, li convincono a dare una mano al malcapitato che viene sollevato di peso e disteso su una panchina dai due ragazzi non troppo entusiasti del compito affidato loro. A lavoro finito uno dei due ragazzi si sbatte le mani come a dire “Fatto, a posto!”, un gesto che a me sembra molto eloquente.  Come avevo osservato, la Moldavia è un piccolo paese, ma con problemi molto grandi: disoccupazione, alcolismo, povertà, corruzione, tensioni interne, traffici illegali, ecc… Il fatto che un uomo disoccupato e alcolista si sia fratturato il cranio cadendo da un gradino è l’ultimo dei loro problemi.

Continuo la mia passeggiata cercando di non pensare troppo a quello che ho visto e improvvisamente mi trovo stretto tra due edifici grigi e imponenti: uno è il Palazzo Presidenziale e uno è il Palazzo del Parlamento. Quest’ultimo il sette Aprile del 2009 è stato teatro di scontri tra la polizia e i manifestanti che contestavano il risultato delle recenti elezioni che avevano confermato la vittoria del partito comunista al potere. Le finestre dei primi tre piani erano state mandate in frantumi e delle molotov avevano appiccato un incendio all’interno degli uffici dove una donna è morta per asfissia.

Ormai è ora di cena e mi faccio consigliare dalla Lonely Planet un posto dove rifocillarmi dopo la pizza surgelata di Tiraspol. La scelta cade sul “Taifas”, che rispecchia benissimo il suo nome visto che in romeno (o moldavo, dopotutto è la stessa lingua) significa “confabulazione”.

Il ristorante è stato ricavato da una cantina ed è molto informale, a detta della Lonely Planet il cibo è ottimo. La guida si rivela estremamente affidabile e la mia cena consiste in: peperoni grigliati con salsa di formaggio come antipasto; poi il piatto principale: Chiftelute moldovene (polpette moldave) servite in una scodella di terracotta; contorno di patate arroste e per dissetarsi una tipica birra moldava: la Chişinău. Una volta bevuto il caffè (che mi è costato più della birra) pago il conto e faccio ritorno all’ostello.

La giornata è stata lunga e la stanchezza inizia a farsi davvero sentire, mi fermo solamente presso un negozietto di alimentari ancora aperto per prendere un paio di bottigliette d’acqua. E’ ormai buio e di mercoledì sera le vie di Chişinău sono pressoché deserte.  Arrivato in ostello entro in camera mia e l’americano è esattamente nella stessa posizione dove lo avevo lasciato: spaparanzato nel letto con il pc portatile sulla pancia. Lo svizzero non c’è, in compenso c’è un ragazzo nuovo, un polacco di nome Jacov.

Chiacchiero un po’ con Jacov e gli racconto della mia avventura in Transnistria, dei controlli, dei moduli ecc… Ad un certo punto mi blocca e mi chiede: “How will you do when you will leave Moldova if there is not an entrance stamp on your passoport?” La sua osservazione è legittima e in me si insinua il tarlo del dubbio che nonostante tutto le formalità doganali non siano ancora finite. Io controllo sul sito del Ministero degli Esteri italiano e non c’è scritto nulla al riguardo, nel frattempo Jacov chiama un suo amico moldavo che lo rassicura dicendogli che è normale che sia così e che al momento della mia uscita dalla Moldavia le guardie vedranno che il timbro di uscita dall’Ucraina corrisponde ad un punto controllato dalla Transnistria ed è quindi normale che non ci sia un timbro.

Grazie Jacov, ma ormai è troppo tardi.

Non sono affatto sicuro che finirà così facilmente e ho già deciso che domattina mi aspetterà una nuova avventura all’ufficio di immigrazione (Imigratul Birou) di Chişinău, ma questa, come ho già detto, è un’altra storia. Ormai sono le undici passate quando torno in camera dopo essermi cambiato e lavato i denti. Lo svizzero ancora non si vede, spero solo che non faccia troppo casino quando rientrerà, Jacov legge un libro e l’americano si è già addormentato.

Il letto dove mi distendo è molto più comodo della cuccetta del treno della notte scorsa e il buio e la quiete della stanza mi invitano ad un sonno profondo.
La tranquillità è rotta qualche minuto più tardi, quando l’americano inizia a russare rumorosamente. Sono troppo stanco per alzarmi e scuoterlo, penso solo “chissenefrega” e ritorno a dormire.

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