Egitto

In Egitto sulle orme di Tutankhamon – Parte I

Autore: MadGrin
Periodo: giugno 2008

Egitto, giorno 1 : Benvenuti nel Caos!

Affrontare un viaggio in Egitto senza poter contare sul filtro e l’aiuto di un’Agenzia Turistica può essere complicato ma, al contempo, una esperienza molto bella e divertente.
Si scende dal protettivo e refrigerato ventre metallico dall’aereo dopo qualche ora di volo e si arriva all’aeroporto del Cairo: una struttura antiquata e calda dove non è difficile orientarsi per il semplice fatto che le dimensioni ridotte ti obbligano a percorrere l’unica strada verso l’uscita.

Pagata la tassa di ingresso ecco il primo assaggio della gente del Cairo: una folla insistente di autoctoni ti corre incontro sovraccaricandoti sensorialmente con mille richieste, mille domande e mille offerte ripetute all’infinito come un mantra.

Da dove vieni? Come ti chiami? Dove vai? Serve un taxi? Un taxi? Taxi? TAXI?

Alla fine accettiamo di prendere quello che scopriremo essere (per loro) una limousine: una berlina in decenti condizioni e con l’aria condizionata. Un lusso, quello dell’aria condizionata, che non avremo più il piacere di incontrare.
La limousine ci porta per 40 lire egiziane (poco meno di 5€) al nostro albergo dove la gente è più tranquilla e molto cordiale. Il tempo di riprenderci qualche minuto e inizia la vera avventura!

Giorno 1 - sabato 22 giugno
Sono le 14
, l’ora migliore per affrontare la città rovente, e noi lasciamo l’albergo, situato ad Eliopoli nella periferia del Cairo e vicino all’aeroporto, e prendiamo il primo di una serie interminabile di taxi che ci accompagneranno per tutta la vacanza.

Il parco taxi, in Egitto, è costituito da vecchie auto che si potevano vedere da noi agli inizi degli anni ‘80 (come, per esempio, le FIAT 127).
Le auto sono in pessimo stato; gli interni sono fatiscenti e pesantemente addobbati con svariati ninnoli come i frequenti graspi d’uva in vetro (probabilmente per propiziare l’abbondanza) e i multi specchietti retrovisori fondamentali per evitare la morte .
Si perchè la guida in Egitto non è una scienza esatta, tutt’altro!
Immaginate una grossa strada a 3 corsie.
Immaginate un traffico pesante a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Immaginate che il 60% delle auto è costituito da taxi.

Ecco ora immaginate che tutti i taxi corrano come assatanati dribblando le altre autovetture, facendo slalom tra bus (anche loro dalla guida spericolata), pecore e pedoni e buttandosi in mezzo agli incroci con qualunque colore il semaforo segni.

Durante il primo viaggio in città sul taxi si apprendono svariate e preziose informazioni sul Cairo:
-i semafori sono pure e semplici decorazioni stradali, gli automobilisti li ignorano e si gettano negli incroci non curandosene affatto e con il consenso tacito dell’onnipresente polizia
-le strade sono terreno di tutti: in mezzo alle macchine lanciate a folle velocità scorrazzano allegri pedoni, bambini e muli mentre tutti tentano di evitare i sacchi dell’immondizia lanciati dall’alto dei cavalcavia
-l’attraversamento pedonale è un’avventura molto più adrenalinica di qualsiasi giostra estrema: ci si butta in mezzo alla strada davanti all’auto in corsa con la speranza che sia lei ad evitarci
-i clacson sono stati montati sulle auto per essere usati e l’automobilista egiziano lo sa bene: li suona per comunicare che sta passando, che c’è anche lui, per segnalare la manovra scorretta del collega, o semplicemente perchè gli piace il suono!

Pensate ad un’auto che suona il taxi 10 volte in un minuto. Ora moltiplicate per le 100 auto che intasano abitualmente un tratto di strada: ecco questo è il sottofondo musicale del Cairo.
-i taxi non hanno l’aria condizionata. Ovvio. Ma non è altrettanto chiaro del perchè quasi sempre i finestrini dei posti dietro debbano essere sigillati…
-e, parte più divertente, se i taxi sono vecchi i loro tassametri sono primitivi… vecchissimi anche senza essere mai stati usati . Infatti con il tassista egiziano va inizialmente indagato se conosce l’inglese, poi se sa dove si trova il posto dove si vuole andare (spesso mentirà per ottenere un nuovo cliente) e, soprattutto, quanto ha intenzione di farci pagare . Il tassista noterà che siete turisti e sparerà un prezzo che, dopo lo scambio di un paio di battute, potrà essere almeno dimezzato .
Contro ogni probabilità il taxi ci porta, comunque, a destinazione: alla Moschea di Al - Azhar.

Qui riceviamo la seconda lezione della giornata: al Cairo tutti, dal poliziotto al bambino, sono gentilissimi ma poi tenderanno la loro avida manina per chiedere una mancia.
Arrivati alla moschea, infatti, un Muezzin ci cattura e senza dirci nulla ci porta a visitare tutti gli ambienti della struttura dilungandosi in spiegazioni dettagliate.
Usando un corposo mazzo di chiavi ci introduce in stanze altrimenti inaccessibili e ci riempie di volantini islamici e alla fine ci pone dinanzi alla grande prova: la scalata del Minareto!
Il Minareto in questione è uno dei più alti del Cairo e per accedere alla cima è necessario una lunga salita per una stretta scala a chiocciola: la cosa divertente è che la maggior parte della scalata avviene nel buio totale quindi l’immagine che dovete visualizzare è quella di noi accompagnati da un corpulento e barbuto sconosciuto che ci trascina nell’oscurità lontano da sguardi e orecchie indiscrete...

Per fortuna va tutto bene e, sani e salvi, completiamo la visita alla Moschea elargendo una generosa (per lui) mancia al Muezzin e correndo, poi, al vicino bazar di Khan Al- Khalili alla ricerca della Wikala (antica locanda per mercanti) dove avevamo letto si sarebbe svolto un favoloso spettacolo dei Dervisci Rotanti.Per trovare la Wikala incorriamo per ben due volte in quello che, scopriremo, non va mai fatto: chiedere informazioni ad un egiziano.
La prima volta chiediamo ad un gruppetto di poliziotti dove avremmo potuto trovare la Wikala.

Il gruppetto si consulta tra di loro per alcuni minuti e alla fine, il più giovane si stacca e ci fa segno di seguirlo. Inizia un interminabile giro per il vicino bazar, percorriamo stradine piccole e abbandonate, saliamo scalinate diroccate ed entriamo in case adibite ad improvvisati negozi fermandoci, alla fine, davanti ad un negozio il cui nome poteva assomigliare, vagamente, a quello dei Dervisci. Salutiamo e ringraziamo il poliziotto e facciamo finta di entrare nel negozio dal quale scappiamo pochi minuti dopo.

Il secondo tentativo ci va peggio: il tizio è un mercante che, con la scusa che lo spettacolo inizierà non prima di un’oretta, ci porta nel suo negozio rovente e dopo averci fatto bere un fantastico Karkadè ghiacciato ci rifila un certo quantitativo di spezie e altre amenità (che invero avremmo comunque comprato).
Non contento ci fa (nuovamente) attraversare mezzo mercato per portarci da un suo compare artigiano specializzato nella costruzione di portagioie in legno rivestite di madreperla. Anche lì paghiamo l’esorbitante cifra che ci viene richiesta (meno di 10€) e riusciamo, finalmente, a farci indicare la strada. Grazie alla sua preziosa informazione riusciamo, così, ad assistere a questo favoloso spettacolo.

La serata termina con una passeggiata per il bazar (nel pieno dell’attività ancora alle 23) acquistando e stuzzicando cibi vari di dubbia igiene ma soddisfacentemente buoni.
La città, forse anche perchè è sabato sera, è veramente caotica. Quello che, nel primo pomeriggio, pensavamo essere traffico pesante non è nulla rispetto al casino della sera e alla fine acchiappiamo un taxi, contrattiamo la tariffa e incominciamo un altro avventuroso viaggio in taxi con destinazione l’albergo.

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Egitto, giorno 2: noi non temiamo la Maledizione!

La mattina del secondo giorno optiamo per visitare la Cittadella, un imponente complesso di costruzioni contenente tre grandi moschee (Mohamed Ali, al-Nasir Muhammad e Bahri Mamluk) edifici governativi e molti musei.
Anche qui veniamo assaliti da improvvisate guide turistiche che dribbliamo allegramente.

Non riusciamo ad evitarne una giovane e particolarmente insistente che ci fa fare, però, un giro molto interessante e che non avremmo potuto fare da soli. Purtroppo per lei la ripaghiamo con una miseria a causa della mancanza momentanea di fondi e così non riusciamo a premiare l’unica guida che avrebbe meritato una giusta ricompensa.

Completiamo la visita della Cittadella nel primo pomeriggio e decidiamo di raggiungere a piedi la vicina Moschea del Sultano Hassan. Si rivelerà un grosso errore,  a quell’ora le temperature sono prossime a quelle della fusione del nocciolo della Terra e anche percorrere pochi chilometri a piedi è un’impresa alquanto ardua.

Per evitare la morte per evaporazione facciamo pausa in un piccolo giardino cittadino (ingresso 2 Lire pari a 20 cents) dove veniamo assaliti da un gruppetto di bambini autoctoni.
Il primo, il più coraggioso, si avvicina per salutarci ("Hello!", parola che sentiremo ripetutamente dai svariati bambini che incontreremo anche nei giorni successivi) e chiedere il nostro nome.
Soddisfatto delle nostre risposte scappa via per andare a prendere amici e parenti da portare in nostra presenza. A turno tutti i bambini ripetono il ritornello e si suggeriscono le risposte l’uno con gli altri.
Arriviamo infine alla Moschea del Sultano Hassan dove cadiamo esausti su uno dei tappeti adibiti alla preghiera e rimaniamo per qualche tempo in meditazione (o forse a dormire?).
Usciti dalla Moschea optiamo per tornare al bazar Khan el-Khalili per l’acquisto di qualche souvenir.

Ci infiliamo nel primo dei tantissimi negozietti presenti nel bazar dove ci accoglie un bambino di appena 16 anni. Una volta entrati accorre anche un "collega" un pò più grande e i due si scambiano qualche battuta acida su, probabilmente, a chi toccasse l’onore di spennare i due nuovi turisti.
Scegliamo quindi una serie di articoli dando inizio ad una lunghissima discussione sul prezzo che porta, alla fine, a dimezzare la cifra che ci avevano chiesto .

Ovviamente l’affare rimane tutto loro perchè probabilmente il valore di quella merce era stato all’inizio quadruplicato.
Discorso simile con il commesso di in una gioielleria, al quale approfittiamo per chiedere informazioni su dove avremmo potuto cenare con qualcosa di tipico e su dove si trovasse il famoso bar Fishawi di cui avevamo letto sulla guida turistica e che sapevamo essere molto bello e aperto, da più di 200 anni, ininterrottamente per 24h al giorno.

Grazie alle sue indicazioni riusciamo così a trovare questo favoloso bar dove degustiamo tantissimi prodotti tipici: dal Karkadè al The alla Menta, dai buonissimi MilkShake alla banana al caffè turco fino al favoloso (di cui mi sono innamorato) sahleb e ovviamente accompagnando il tutto con un buonissimo Narghilè.

Riusciamo ad arrivare, infine, al locale che ci aveva consigliato il commesso e che era proprio quello che speravamo: una bettola non turistica dove avremmo potuto avvelenarci con cibi tipici.
Difficile chiamarlo locale: si trattava di una stretta viuzza in cui erano buttati alla rinfusa dei tavolini e di una piccola stanza piastrellata e senza porte dentro la quale si trovavano altri tavolini. Ovviamente mancavano tovaglie ed altri accessori inutili e il cibo (la scelta era tra 4 tipi di carne diversa) veniva fuori misteriosamente da una porticina scardinata.…
Ordiniamo dei piatti di carne a caso che ci vengono consegnati con contorni di verdure crude e humus.

Sprezzanti del rischio di cadere vittime della famosa Maledizione di Tutankhamon, cioè nei disordini intestinali in cui spesso incorrono i turisti in visita in Egitto, ci sbafiamo tutto (spendendo in due meno di 10€) e alla fine torniamo in albergo per vedere, comodamente sdraiati a bordo piscina e sul maxi-schermo, la triste partita Italia – Spagna.
Le foto di questo articolo sono state scattate da me.

Egitto, giorno 3: Il Treno della Speranza
 
Il terzo giorno decidiamo di dedicarlo parzialmente al Museo Egizio riflettendo che un posto tranquillo e con l’aria condizionata è proprio quello che ci vuole per riposarsi un pò…illusi!
Arriviamo nel quartiere Midan Tahrir, nel centro del Cairo, con il solito taxi e cerchiamo di capire dove fare una veloce colazione.

Dopo qualche giro infruttuoso chiediamo informazioni ad un distinto passante (insomma: il solito errore!) che ci dice di seguirlo e ci trascina nella sua bottega di profumi!
 
Ci racconta uno strano aneddoto sul fatto che Sophia Loren è stata una sua acquirente e tenta di farci accomodare per farci provare (e acquistare) il suo campionario di oli profumati.
Ci opponiamo fieramente e scappiamo via ignorando le sue accalorate urla.
Decidiamo che il posto migliore dove fare colazione è nel bar-ristorante del Museo e lì consumiamo qualche omelette egiziana e del caffè turco.
Dopo aver salutato (ero convinto per sempre) la mia macchinetta fotografica abbandonata al Security Box (un vetusto mobile di legno su cui venivano appoggiate tutte le attrezzature elettroniche proibite nelle sale interne) entriamo finalmente nel Museo.
 
Il colpo d’occhio è notevole: immaginate un enorme spazio pieno di gente ma, soprattutto, strapieno di reperti egiziani accatastati in ogni buco e nicchia, buttati per terra e appesi alle pareti.
Le teche e i cordoni protettivi sono rarissimi e le targhette esplicative sono praticamente assenti. Non esiste una mappa del Museo e così l’indicazione del percorso da seguire!
Insomma il fresco e tranquillo ambiente che speravamo di trovare si rivela, invece, un caldissimo inferno affollato e pieno di reperti favolosi.

Giriamo affascinati per le varie stanze ammirando, tra le altre cose, gli 11 chili di oro che costituiscono la Maschera funeraria di Tutankhamon, le Mummie Reali, centinaia di sarcofagi, vasi canopi e statue di tutte le dimensioni.
Completato il giro del Museo optiamo per una passeggiata rilassante sul Lungo Nilo. La guida la indica come una attività piacevole, con percorsi freschi e ombreggiati dove si può trovare rifugio dal caos della città.
Ovviamente non tutto il Lungo Nilo è così, infatti noi finiamo in una zona ancora più caotica dove rischiamo la morte a causa degli intensissimi gas di scarico delle autovetture e dai quali tentiamo di scappare rifugiandoci nelle hall di alcuni alberghi di lusso (un pò anche per curiosare su come vivono i ricconi) come l’Hilton e il Four Seasons.
 
Sul calare della sera ci dirigiamo alla stazione dei treni a Giza.

La mattina, infatti, abbiamo fatto il check-out dall’albergo e lasciato lì bagagli portandoci appresso (nel mio pesante zaino) poche cose essenziali.
Per arrivarci prendiamo la metro (vagoni separati per uomini e donne) e arriviamo con una mezz’ora di anticipo sulla partenza del treno che, poi, partirà con quasi un’ora di ritardo.
 
Nell’attesa altra pausa caffè (turco) finchè lo Sleeping Trains arriva per condurci, viaggiando di notte, a Luxor.

Le foto di questo racconto (ad esclusione della foto degli interni del Museo del Cairo) sono state scattate dall'autore.
Potete trovare le altre del viaggio in Egitto sul suo account di flickr.

Continua...

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