Riga

Una settimana nel Baltico

Tallin

Periodo: Agosto

Una partenza solitaria può essere l'occasione per immergerci senza intermediari in culture e tradizioni e per ascoltare ancora più forti le emozioni della nostra esperienza di viaggio, ed è questo ciò che mi ha spinto a intraprendere il mio primo “grande” viaggio in solitaria tra Lettonia, Estonia e Finlandia: una settimana che solo nel momento in cui sono ritornato a casa mia ho capito quanto intensa fosse stata.
Tutto è cominciato la mattina del 19 agosto, quando il lacerante grido della sveglia mi strappa con uno scossone dal mio sonno: in una frazione di secondo la vagheggiante chimera notturna viene spazzata via da una scarica di adrenalina, che sprona i miei muscoli giù dal letto con un movimento quasi meccanico; il sogno comincia nel momento in cui mi sveglio: si parte! È ancora presto, ma la brama di prendere quell'aereo diretto a Riga accelera ogni mio movimento, e così, in meno di 20 minuti, mi ritrovo sull'uscio di casa, la porta chiusa dietro di me, e a dividerci quello che sarebbe stato il mio unico compagno di viaggio: lo zaino.
Le luci dell'alba hanno già lasciato spazio ai penetranti raggi del sole, e la brulicante fauna cittadina si riversa per le strade, me compreso. Come prevedibile arrivo in aeroporto con largo anticipo, ma non trascorrono nemmeno cinque minuti, che mi imbatto nel mio insospettabile “compagno d'aereo”, anche lui eccitato e con un largo sorriso stampato in faccia; se il mondo è piccolo, allora Milano è un fazzoletto: diretto a un centro culturale a Tallin, mi ritrovo a condividere il viaggio a Riga con Lorenzo, un caro compagno d'università, da dove poi lui avrebbe preso subito un autobus per raggiungere la capitale estone. Il tempo vola, trascinandosi con sé le nostre chiacchiere, e in men che non si dica, ci ritroviamo in Lettonia. Lettonia? Il cellulare vibra: “benvenuti in Lituania”.

Lo sgomento lascia subito il posto al sollievo, quando nel buttare fuori la testa dal finestrino del velivolo, leggo a grandi lettere “Lidosta Riga Airport”. Devono essere proprio piccoli i paesi baltici, penso. Fuori il cielo è nuvoloso, e una fresca brezza ci accompagna fino alla stazione del bus, che ci porta fino al centro città, distante solo dieci chilometri. È tempo di salutare Lorenzo, e di rendermi conto che ora, finalmente, sono solo, sono in Lettonia, il mio viaggio è appena cominciato; ma Zeus mi riporta alla realtà scagliandomi un grosso gocciolone d'acqua in testa, seguito da un altro, e un altro ancora: non ho neanche il tempo di imprecare alla fortuna, sono già fradicio, così come lo è la cartina della città, che si consuma sotto l'incessante cascata celeste. Mi riparo sotto una tettoia, e lì ho modo di chiedere informazioni al mal capitato che come me è stato sorpreso dalla pioggia improvvisa: dice che la via del mio ostello si trova dalla parte opposta a dove mi trovavo in quel momento. Bene, penso io, qualcuno ha deciso di mettermi alla prova fin da subito; accetto la sfida con piacere, e mi butto a capofitto tra le strade deserte di Riga, riparandomi con la cartina ormai in stato di decomposizione.
Nell'ostello mi viene assegnata la camera da dieci persone, ma sono l'unico; da una parte sono sollevato, dall'altra mi spiace non poter fare quattro chiacchiere con altri zingari come me: al ritrovarmi nella stanza deserta completamente fradicio, solo, e senza un piano per la testa, mi invade un improvviso senso di solitudine; lascio cadere lo zaino ai piedi del letto più vicino, e decido che è ora di catapultarmi alla scoperta di Riga: oramai la pioggia si è fatta più rada. Trovare il centro storico non è difficile, la città è molto piccola, e la parte nuova, grigia e dagli alti palazzoni, sembra cingere in un abbraccio i palazzi colorati in stile Nouveu della parte vecchia; ormai la pioggia ha lasciato spazio al sole: ho superato la prima sfida, penso.

Riga mi delizia fin da subito coi lineamenti delicati dei suoi edifici color pastello, le sue piazzette in miniatura e monumenti dagli strani simbolismi; l'importo di influenze e contaminazioni esterne si fa sentire nella composizione della città, rendendola davvero unica nel suo genere.
In un territorio ristretto come la Lettonia convivono chiese dalle caratteristiche insolite, antichi monumenti sacri e pagani, edifici medioevali e architettura Art Nouveau, che ha lasciato pesanti impronte nell'architettura degli edifici del centro storico. La quiete dopo la tempesta è ormai esplosa in un arcobaleno rosso fuoco, che accende le case in un'atmosfera surreale. Mi rendo conto che è oramai trascorso il primo giorno, e dopo essermi ristorato decido di tornare lentamente all'ostello, dove cado in un sonno profondo.
Ancora una volta l'odioso stridio della sveglia mi riporta alla nuvolosa realtà lettone; e ancora una volta spinto dall'adrenalina, trotto a lunghi passi verso la stazione dei bus: oggi visiterò il pittoresco paesino di Sigulda, situato a un'ottantina di chilometri a nord dalla capitale e denominata informalmente la “Svizzera baltica” per la presenza di numerosi castelli immersi nel verde dell'intorno cittadino. Dopo 3 Lot (5 euro) e un'ora abbondante di bus, posso finalmente respirare l'aria fresca del piccolo borgo, e con la mia nuova cartina mi infilo nei verdi vicoletti che si aprono davanti a me; Sigulda è senz'altro una cittadina “strana”; sì, dopo averci pensato a lungo, credo che l'aggettivo “strano” calzi a pennello.
Forse complice la nebbia che avvolge il paesaggio bucolico intorno a me, tutto sembra avvolto in un mantello di mistero: le casette sono poche, e punteggiano qua e là un ampio tappeto di verde vegetazione. Non esiste nessun centro, nessuna piazza, niente che lasci pensare che Sigulda sia effettivamente una città; la chiesetta del centro abitato si staglia alta nel cielo grigio, e le sue dimensioni mi sorprendono; un brivido mi percorre la schiena, forse è l'aria pungente che soffia alle mie spalle, forse è l'eccitazione del trovarmi in un poso così..

strano. La cartina è poco chiara, decido così di affidarmi alla mia curiosità, e di lasciarmi trasportare dai sentierini che serpenteggiano tra le macchie di vegetazione; e proprio quando penso di essermi perso, che l'idea del “fai da te” forse non è stata delle migliori, ecco che mi ritrovo davanti a una cancellata socchiusa, nera, arrugginita, tutto deserto intorno a me. Un altro brivido mi percorre la schiena, ma stavolta sono sicuro non sia stato il freddo; getto uno sguardo alle mie spalle, quasi timoroso di stare per fare qualcosa di illecito, e passo attraverso la piccola apertura cigolante in ferro battuto: davanti a me si apre un corridoio di ghiaia, l'odore dei fiori che lo cingono è pungente, ma gradevole, e gli uccelli sembrano darmi il benvenuto con i loro cinguettii, forse sorpresi nel vedere qualcuno. Un piccolo castello, bianco e dai candidi merletti svettanti nel cielo plumbeo, si staglia davanti a me; per un attimo mi ritrovo a fantasticare e ho quasi l'impressione di vivere un'esperienza settecentesca, perchè niente intorno a me riesce a farmi ritornare al ventunesimo secolo.
Decido di girare attorno al castello, perchè la porta d'ingresso è chiusa, e non si può entrare, e lo spettacolo che si cela alle sue spalle mi lascia attonito: la parte posteriore si trova infatti a strapiombo su un dirupo, che si apre come una ferita nella vallata sottostante; una cortina di nebbia forma un velo che sembra voler proteggere la vegetazione. Rimango a fissare il nulla, in lontananza, abbastanza a lungo da perdermi ancora una volta nelle  fantasticherie di una terra lontana, e ancora una volta, da lassù, qualcuno decide di riportarmi al mondo reale con un altro freddo gocciolone: è ora di rimettersi in cammino. Decido di raggiungere a piedi la cittadina vicina, Turaida, in lingua locale “il giardino divino”, che si trova a soli 5 chilometri da Sigulda.

Ancora una volta mi ritrovo a percorrere sentieri immersi nella vegetazione, e dopo svariati minuti di cammino, quando ormai  la monotonia dell'umido intorno mi stava per avvolgere nel suo turbine senza fine, ecco che un'altra vallata, punteggiata di laghi e stagni, si apre di fronte a me. Sorpreso dal cambio repentino del paesaggio, proseguo in direzione nord (o almeno quello che pensavo fosse il nord), e all'improvviso vedo qualcosa muoversi in lontananza, nella vegetazione: in un primo momento penso a una lepre; me le due lunghe orecchie, che tradiscono il corpo semi-nascosto dagli arbusti, si avvicinano troppo in fretta, mi paralizzo. Un elegante cervo fa capolino di fronte a me: entrambi siamo immobili, ci fissiamo per una frazione di secondo, lui, dagli occhi vispidi e attenti, evidentemente spaventato, io, ancora una volta, eccitato e grato a madre natura per avermi offerto uno spettacolo del genere. Come una saetta scompare con un balzo nella macchia verde ai nostri lati, e solo allora mi rendo conto che lo sbigottimento iniziale aveva lasciato spazio a un sorriso spontaneo. Riprendo il mio cammino, questa volta con lo sguardo vigile, stuzzicato dall'idea di fare un nuovo incontro, e finalmente, dopo un'ora di cammino, raggiungo le fredde e umide grotte di Gutmann, modellate dal fiume Gauja: a quanto leggo sono le più grandi del Baltico.
Ancora una volta la curiosità mi spinge a intraprendere il sentiero giusto: mi inerpico su per le pendici della collina alle spalle della gola, e ricomincia a piovere; fortunatamente la vegetazione è troppo fitta perchè anche solo una goccia mi raggiunga, e mi sento quasi protetto dal verde tetto che si chiude sopra di me; il sentiero è davvero ripido, e quando giungo in cima, sono costretto a riposarmi: svuoto la bottiglietta d'acqua che ho con me, e spero di averne a sufficienza in corpo per resistere fino al ritorno alla “civiltà”.

Mi rimetto in cammino, il rumore incessante della pioggia battente sopra la mia testa, che però non giunge fino a me. Ed eccomi di fronte al secondo castello, ancora più affascinante del primo, totalmente avvolto dalla vegetazione, che sembra volerlo fare suo. Ancora una volta mi sento completamente solo, impotente, perso nel nulla; non ho idea di dove sia, la cartina non mi aiuta, e tanto meno l'infinito numero di sentieri che si aprono davanti a me. Ancora una volta un brivido mi percuote, il silenzio attorno a me è assoluto.
Nelle vicinanze non c'è segno di civiltà, nessun cartello, nessuna indicazione; solo al mio rientro in città avrei letto la misteriosa leggenda che avvolge il maniero fin dal 1601: in seguito ad una battaglia ai piedi della fortezza, lo scrivano del castello, uscito alla ricerca di sopravvissuti, trovò una neonata tra le braccia della madre deceduta. Lo scrivano la prese con sé e la allevò come una figlia, dandole il nome di Maja. Divenuta ragazza, Maja venne presto soprannominata la Rosa di Turaida per via della sua bellezza, e si innamorò di Viktor, il giovane giardiniere del castello di Sigulda. Un giorno d'autunno del 1620 la giovane Maja fu attirata in una trappola dal perfido Adam Jakubowsky, un nobile polacco che bramava averla come moglie. Jakubowsky fece recapitare alla ragazza una lettera falsa in cui Viktor le dava appuntamento presso la grotta di Gutmann, da dove ero appena giunto io; quando, ormai sul luogo, si avvide del pericolo, Maja chiese di essere lasciata, ma il polacco sguainò la spada e decapitò la ragazza, che ebbe così salvo l'onore.
Quando seppe della tragedia, Viktor seppellì la propria amata, piantò un tiglio sulla sua tomba e lasciò il paese per sempre. Perpetuando la leggenda, ancora oggi i giovani sposi si recano a Turaida a posare fiori sulla tomba della Rosa di Turaida, che solo adesso capisco essere il simbolo del paesello.

Mi sento stanco, ho camminato parecchio, e decido così di intraprendere il lento cammino di ritorno a Sigulda, per poter ritornare a Riga. Scelgo quindi il sentiero più in discesa, e dopo vari tentativi mi ritrovo sulla via che avevo percorso solo poche ore prima.
Riga mi accoglie ancora una volta con il cielo minaccioso, e decido quindi di ritornare all'ostello per riposarmi; finalmente ho dei coinquilini, che mi si presentano non appena messo piede nella stanza: sono tre ragazzi bulgari e uno macedone, capeggiati dal leader Liubo, di Sofia. Si rivelano fin da subito persone interessanti, mi raccontano del loro viaggio intrapreso dalla Bulgaria la settimana prima, e si sorprendono nel constatare che sì, conosco i loro paesi: è evidente che non mi conoscono! Gli racconto che è da tempo che pianifico un viaggio tra Macedonia, Albania, Montenegro, Kosovo e Bulgaria, e, ancora più sorpresi, mi raccontano di aver seguito un percorso simile l'anno precedente, invitandomi a contattarli se mai decidessi di realizzare questo mio piccolo progetto; ma per ora sarà quello di riposare il progetto che devo lasciare da parte: i ragazzi mi invitano a un giretto notturno di Riga, e io accetto di buon grado, finalmente in compagnia di qualcuno.

È il mattino del 21 agosto, e alle otto in punto parte il mio bus in direzione Tallinn, dove spenderò due notti. Dopo quattro ore e mezza di percorso tra le conifere del Baltico arrivo nella capitale estone: finalmente posso tornare ad usare gli euro, niente più calcoli e spese folli dovute al cambio valuta! Mi reco all'ufficio del turismo del terminal e mi armo della nuova fedele cartina che mi accompagnerà per le strade di Tallinn per i prossimi due giorni. Il sole di mezzogiorno è alto in cielo, e fa quasi caldo; abbozzo un sorriso pensando di essere in un nuovo paese, e mi avvio verso il mio nuovo ostello, che trovo senza troppe difficoltà: è situato esattamente nel casco antico di Tallinn, a due passi dalla piazza centrale, e ancora una volta sono solo nella stanza da dieci.

Tallin ha qualcosa di simile a Riga, ma allo stesso tempo è strutturata in maniera totalmente differente: ancora più piccola della città lettone, si trova rannicchiata ai piedi della collina  di Toompea che domina la città nuova, e sulla quale svetta l'elegante chiesa ortodossa di Alekandr Nevskij. A prima vista Tallin mantiene intatto il fascino di città medievale, e questo grazie ad una sapiente opera di ristrutturazione delle sue bellezze artistiche. Mi colpisce anche la grande quantità di popolazione giovane, pronta a prendere le redini di questo paese che fa di tutto per lasciarsi alle spalle il passato comunista: lo si nota subito, non solo dal nuovo orizzonte urbano lungo il viale Tartu, sede del quartiere finanziario di Tallinn, ma anche da una chiara voglia di fare turismo, visto come importante risorsa per la crescita del paese. Infine ad incuriosirmi è il mix di architetture che compongono la città estone: quella della vecchia Europa, il tratto più caratteristico e pittoresco, quella bruttalista dell'era sovietica, con i classici super condomini, e infine quella moderna della nuova Europa del progresso.
Non mi stupisco quindi di leggere che Tallinn è la nuova promessa dell'informatica, e che furono proprio due abitanti estoni ad inventare il wi-fi, di cui la città è piena. Il primo giorno arriva al termine ben presto, ma sono sicuro di aver ormai visto gran parte della città. Il giorno dopo decido così di andare di buon ora all'ufficio informazioni nel centro storico: so dell'esistenza di un grande parco nazionale a un centinaio di chilometri a est di Tallin, e spero quindi ricevere maggiori informazioni; con mia più grande delusione, scopro che il Laheema National Park, essendo protetto, è raggiungibile solo con un viaggio organizzato; “organizzato”, la parola antitetica al viaggio zaino in spalla; interrompo gentilmente il signore e gli chiedo se esiste qualche città che meriti la pena visitare nelle vicinanze, e ancora più deluso scopro che  Tallin è l'unica vera grande attrazione del paese, a eccezion fatta di Tartu, la seconda città del paese, che tuttavia si trova troppo lontano per essere raggiunta in giornata.

Ma non demordo, studio sulla cartina le parti della città che ancora non ho toccato, e decido di raggiungere una spiaggia, il punto più a nord dell'Estonia, a soli 80 chilometri dalle coste finlandesi. In solo mezzora, e con l'aiuto di una donna, che mi spiega gentilmente come raggiungerla, arrivo alla spianata di sabbia e sterpaglia affacciata sul mar Baltico; mi stupisco di come in realtà non sia così fredda l'acqua, e mi bazzica per un attimo l'idea di farmi un tuffo: calma Marco, mi dico, potrebbe non essere una buona idea; nonostante il sole, sulla città soffia infatti una fredda brezza proveniente dal mare. Il paesaggio intorno a me non offre niente in particolare, eppure lo trovo abbastanza suggestivo, forse perchè ben lontano dai canoni della spiaggia italiana: lasciata a sé stessa, per niente curata, deserta e frastagliata dalla vegetazione, mi brinda una delle sue numerose dune; qui, sdraiato, mi lascio trascinare nuovamente dai miei pensieri: sono passati solo quattro giorni, eppure mi sembra così lontano quello stridio fastidioso che mi carica di adrenalina, pronto per intraprendere il viaggio.
Ormai è pomeriggio quando decido di tornare in città, e proprio quando raggiungo la piazza del Municipio, il mio cellulare vibra: è Liubo! Mi comunica che la loro Opel ha avuto un problema al motore proprio sul confine lettone, costringendoli quindi rinunciare ai loro piani originali, e che in questo momento si trovano a Tallinn, nella piazza del Municipio: che coincidenza! Mi guardo intorno, ed eccoli, tutti e quattro, a una decina di metri da me.
Li raggiungo, e dopo qualche abbraccio, mi raccontano in breve l'accaduto: si è fusa la cinghia della macchina, e non riuscendo a trovare il pezzo da ricambio in Lettonia, hanno deviato in Estonia, ed eccoli, di fronte a me, ancora una volta. Decido allora di improvvisarmi guida turistica, e li porto in giro per il centro storico, raccontandogli brevemente quello che avevo appreso il giorno precedente sulla città, e al termine della serata siamo tutti stanchi, ma soddisfatti; decidiamo di rientrare in ostello (il loro era a solo due vie dal mio), e ci diamo appuntamento per le 21.00, sempre nella piazza principale.

Una doccia fresca e un breve ristoro mi riportano in carreggiata come nuovo, e un'ora più tardi siamo tutti ancora riuniti, e decidiamo di passare la serata sulla collina di Toompea, dove mi offrono birra e stuzzichini tipici bulgari, che consumiamo con Tallinn-nuova illuminata ai nostri piedi. Trascorriamo una piacevole serata insieme, raccontandoci a vicenda le nostre avventure e i viaggi, e promettendoci che ci saremmo rivisti tutti quanti, se non a Milano, sicuramente in Bulgaria. Così, con un sorriso stampato in faccia, e un invito a fare un “salto” a Sofia, ci salutiamo, forti di una nuova amicizia, ognuno per la propria strada: sono pronto per iniziare il terzo capitolo della mia avventura: la Finlandia!

Il mattino dopo, di buon ora, mi dirigo al porto di Tallinn, e in breve mi ritrovo a bordo del traghetto, che in circa tre ore mi avrebbe lasciato a Helsinki. Decido di trascorrere la traversata a poppa, ma in poco tempo mi rendo conto che il vento gelido del nord, ignorando il fatto che fossimo ancora in pieno agosto, soffia pungente, e così mi trasferisco all'interno, dove mi assopisco fino all'arrivo in acque finlandesi; una miriade di isolotti cominciano a punteggiare i fianchi della nave, alcuni più piccoli, altri grossi abbastanza da ospitare abitazioni. Lo sbuffo della ciminiera sulla mia testa me lo conferma: siamo arrivati a destinazione. Lo sbarco è rapido, e una volta approdato sulla terra ferma ricevo il messaggio di Simo, il ragazzo finlandese che mi avrebbe ospitato per una notte, dicendomi che sarebbe arrivato in porto con qualche minuto di ritardo.
Non trascorrono neanche cinque minuti, e il mio cellulare vibra una seconda volta: è Simo, dice di essere arrivato, e di avere jeans e uno zaino a tracolla; sì, dev'essere lui, è giusto di fronte a me: “Simo!” mi dirigo verso di lui, ci stringiamo la mano e ci presentiamo.

È il tipico ragazzo finlandese: alto, biondo, chiaro, che con un ottimo inglese mi propone di fare il biglietto giornaliero dei mezzi di trasporto, che per “soli” otto euro, mi avrebbe permesso di prendere ogni mezzo di superficie e d'acqua per ventiquattro ore. Condivide un appartamento con un altro studente che, come lui, ha dovuto trasferirsi a Helsinki per motivi di studio, come gran parte degli studenti finlandesi. Ma la casa è a circa mezz'ora dal centro, e quindi decido di iniziare subito il mio tour per la capitale, col mio fedele compagno di viaggio ben saldo sulle spalle. Simo è molto preparato sulla città, mi spiega la storia di ogni edificio importante di Helsinki, nonché la politica sociale del paese e la sua composizione etnica.
Mi chiede se voglia conoscere qualcosa in particolare, e gli chiedo dell'isola di Suomenlinna, di cui mi aveva parlato un'amica texana che aveva vissuto in Finlandia l'anno precedente. Scopro che è l'unico sito Unesco della città, e si offre con piacere di accompagnarmi, utilizzando il biglietto giornaliero dei mezzi di trasporto: mi sorprende come i battelli vengano utilizzati in alternativa ai tradizionali tram, con tanto di fermate e tabelle degli orari; e consultando la nostra scopriamo che il prossimo è tra tre minuti: che fortuna penso! Ma Simo mi racconta di come ce ne sia uno ogni otto minuti: è a tutti gli effetti un tram acquatico. E così, in una dozzina di minuti attracchiamo al molo di Suomelinna, che a primo impatto mi appare come un'enclave ottocentesca circondata dal brulicante ventunesimo secolo helsinkino.
Simo mi racconta che, essendo patrimonio dell'Unesco, sull'isola è stata proibita ogni modifica dei vecchi edifici, così come la costruzione dei nuovi: le case sono alte ed eleganti, tutte in mattoni rossi, così come le vecchie fabbriche navali, annerite dal fumo, che fanno da cornice alle riminiscenze della rivoluzione industriale prebellica, ed effettivamente è così: cannoni puntati verso il mare aperto compaiono minacciosi nella parte est dell'isola, e mi viene spiegato come venissero utilizzati in difesa da eventuali attacchi provenienti dalla Svezia, storica nemica della Finlandia.

Suomelinna è anche punteggiata da rifugi antiaerei e un labirinto di tunnel sotterranei, così come un collegamento sottomarino con la terra ferma. Oggi l'isola si è trasformata quasi in un parco tematico, si respirano ben altre arie: i cannoni vengo usati come complici nelle pose fotografiche più bizzarre, e i punti di osservazione come luoghi di ristoro.
Riprendiamo il battello, e facciamo un ultimo tour sulla terra ferma, questa volta visitando le chiese e i monasteri di cui la città è piena: essendo stata dominata prima dalla Svezia, dove la religione principale è la evangelico-luterana, e dopo dalla Russia, dove la religione ortodossa è quella più seguita, Helsinki appare come un ibrido religioso che è riuscito a sposare con successo l'Occidente con l'Oriente; quasi come per rimediare al passato ed imporre alla capitale una chiara impronta nazionalista, l'imponente cattedrale bianca in Piazza del Senato (Senaatintori), chiamata Tuomiokirkko, svetta dall'alto sulla città in onore del Granduca di Finlandia, Nicola I. Ma non aspettatevi una chiesa sfarzosa con decori, affreschi o mosaici. Come da tradizione luterana, la chiesa è spoglia e la cattedrale di Helsinki lo è quasi più di ogni altra.
Il colore bianco dell’esterno è predominante anche all’interno, dove vige un silenzio e una tranquillità inaspettata, anche perché mai piena di visitatori. A pochi metri di distanza vedo una struttura che a prima vista può sembrare troppo semplicistica, quasi banale: una sfera di legno incastonata tra i palazzi della nuova Helsinki. Chiedo a Simo che cosa sia, e con uno sbuffo mi dice che è la chiesa più recente della Finlandia, ma che “purtroppo” è anche destinata a diventarne uno dei maggiori simboli: è la cappella del Silenzio di Kamppi che, come esempio di innovazione nel segno della tradizione nordica dell’utilizzo del legno, fin da subito è comparsa tra i must delle guide turistiche finlandesi. Dopo esservi entrato capisco lo sdegno di Simo: la cappella è davvero banale, con una superficie di soli 270 metri quadrati per 11 di altezza, è vuota: niente banchi, niente altari, niente sedie, solo il silenzio, a cui la cappella è dedicata, più simbolico che religioso: la chiesa non è consacrata e non ospita le messe domenicali, così da non poter nemmeno essere considerata come luogo di culto; il calore delle superfici di legno e la luce naturale indiretta rispondono bene all'assenza di finestre o vetrate cadendo dall’altro, e segnando il distacco dall’ambiente circostante.

Cinque minuti ci bastano per contemplare l'interno dell'”edificio”, e così, una volta usciti, ci dirigiamo all'ultima tappa della nostra “via crucis”: la Chiesa nella roccia (Temppeliaukion kirkko): dedicata al culto luterano, è scavata nelle viscere della roccia, che la luce riesce a raggiungere grazie al soffitto vetrato, intorno alla grande cupola, creata con un unico cavo di rame attorcigliato a spirale. La cosiddetta Rocky Church è anche famosa per la sua straordinaria acustica, e in effetti ad accoglierci c'è la melodica sinfonia proveniente da un pianoforte, vicino all'altare: l'atmosfera è quasi magica, l'ambiente è fresco e illuminato da una luce quasi surreale; ma i turisti sono troppi, e così decidiamo di fare tappa al festival del cibo, alle porte della chiesa.
Simo dice che sono un tipo piuttosto fortunato, non solo per il sole splendente alto in cielo, che ad Helsinki è una rarità persino ad agosto, ma soprattutto per l'esposizione di tutte le specialità che ci ritroviamo di fronte al giungere alla fiera di “ruoka”: i piatti più tipici della Finlandia, suddivisi per regioni, sono esposti in fila davanti a noi, e così, armati di stuzzicadenti e piattini, ci facciamo una scorpacciata delle delizie finlandesi, da quelle tipiche della regione della Carelia meridionale, fino alla Lapponia, nell'estremo nord.
Col passare dei minuti lo spazio adibito alla fiera si riempie fino a trasformarsi in un vero e proprio mercato a cielo aperto, con donne dai vestiti tradizionali promuovendo i loro prodotti del nord, e bianchi omoni baffuti chemi ingozzano di salumi di renne e formaggi. Mi colpisce l'abbondante presenza di pani integrali, che Simo mi spiega essere tra gli alimenti basici più ricchi nella dieta finlandese: con una sola fetta di pane nero, il più famoso, e qualche bacca, frutto simbolo della Finlandia, si ingurgita il fabbisogno giornaliero di vitamine. Si sta facendo tardi, le mie spalle cominciano a risentire del peso del mio fedele compagno, e così decidiamo di avviarci verso casa; ben presto ci lasciamo alle spalle il brulichio di Helsinki, e ci ritroviamo a percorrere strade immerse nel verde, fino a raggiungere il complesso residenziale di Simo e Larrko, il suo coinquilino.

Sono le otto di sera, e la temperatura è già scesa parecchio, così ci rintaniamo al calduccio nell'umile dimora in legno, dove Simo mi offre pane integrale con bacche e salmone: diamine, mi sento davvero in Finlandia adesso! E il mio sorriso si allarga ancora di più, quando il mio compagno finlandese mi propone un salto in sauna: “certo!” esclamo. Nel frattempo arriva Larrko, e dopo una breve presentazione, ci dirigiamo alla sauna di legno situata nel giardino; mi suggeriscono di fare una doccia veloce sotto l'acqua fredda per poter resistere di più al caldo, e così, coi denti battenti, non ci penso due volte a rifugiarmi all'interno della sauna: uno schiaffo di vapore bollente mi irrigidisce sul posto, e mi ci vuole qualche secondo per abituarmi al calore. L'aria è così calda da bruciarmi le narici e rendere difficoltosa la respirazione; vedendomi in difficoltà, Simo e Larrko decidono di cedermi il posto vicino alla finestra, da dove entrava una leggera brezza da fuori.
Acqua alla stufa! I ragazzi mi spiegano come per i finlandesi la sauna sia quasi una cosa divina; le prime, in antichità, erano le saune di fumo, senza la canna fumaria e con i muri anneriti, ma quelle moderne, come questa, si riscaldano con la legna o l'elettricità, e il calore proviene dalla stufa sulla quale si butta dell'acqua. Dicono che la sauna è un posto di pace dove non è permesso litigare, e nel frattempo usciamo ed entriamo diverse volte, come da tradizione, rilassandoci all'esterno, dove al mio corpo fumante la temperatura non sembra più poi così bassa.
D'estate, per chi ha la fortuna di vivere vicino al mare o a un lago, si va a nuotare, e d'inverno qualcuno si sdraia sulla neve o fa il bagno tra i ghiacci delle acque gelate; e sebbene possa sembrare una cosa poco salutare, il vecchio detto finlandese suggerisce che “se l'acquavite, il catrame e la sauna non fanno guarire, allora si tratta di una malattia mortale”, oppure, “la sauna è la farmacia dei poveri”; provare per credere: la stanchezza e il dolore di spalle per la lunga giornata trascorsa in città sono spariti, lasciando il posto a un lieve sopore che mi fa socchiudere gli occhi.

Trascorriamo gli ultimi momenti della serata raccontandoci aneddoti in salotto, finchè giunge l'ora di cedere agli effetti della sauna, e lasciarsi scivolare tra le coperte del letto che mi offrono gentilmente.
Il mattino dopo di buon ora, e dopo un energetico pugno di bacche, sono pronto, ancora una volta, a lasciare la città; saluto Simo e Larrko, promettendogli che se mai decidessero di visitare Milano, avrei fatto del mio meglio per farli sentire come loro hanno fatto sentire me: a casa. Gli abbracci sono veloci, e io sono voglioso di partire per la mia ultima tappa: Tampere.
Non devo aspettare molto l'arrivo del treno in stazione: è puntualissimo alle nove; così come puntuale è l'arrivo nella terza città finlandese, dopo quasi due ore di viaggio a 160 kilometri orari. Tampere mi accoglie con una brezza pungente, dopotutto sono abbastanza più a nord di Helsinki. Il cellulare vibra: è Markus, il ragazzo che mi avrebbe ospitato per questa mia ultima notte; mi spiega come arrivare a casa sua, e dopo essermi munito della mia quinta cartina, arrivo facilmente a destinazione, che, nonostante sia vicina al centro della città, è completamente immersa nel verde. Il mio omonimo finlandese ha grosso modo la mia età, lavora in un'industria energetica nelle vicinanze, e consegnandomi le chiavi del suo appartamento mi comunica che oggi gli sarebbe toccato il turno di notte, e che quindi avrei dovuto dormire da solo in casa.
Il tempo a Tampere è poco, e così, mentre lui pranza, io decido di fare un giro per la cittadina; in effetti, nonostante sia tra le città finlandesi più grandi, non si può proprio definirla qualcosa di più che una semplice cittadina: in poco tempo percorro il centro storico e la piazza principale, i suoi parchi e la vista spettacolare sul lago adiacente. Il mio cellulare vibra nuovamente: è ancora Markus: “troviamoci fra quindici minuti nella piazza Keskustori”.

Lo trovo a bordo della sua Fiat Bravo, ed esclamandomi in italiano “la mia vecchia signora!” mi fa cenno di salire. Dice che vuole mostrarmi Tampere dall'alto, e che mi sarei reso conto di quanto sia piccola in realtà; gli dico che ho avuto la stessa impressione, ma che mi ha colpito la quantità di studenti nella città. Markus mi risponde che l'unica cosa che lo spinge a rimanere a Tampere è proprio quello: è una città giovane e brulicante di cultura, il pubblico è sempre in cerca di nuovi eventi; sono in serbo esperienze quasi ipnotizzanti, spirito indie e feste controcorrente, spettacoli teatrali, musica, lampi di genio e messa a nudo della realtà universitaria. Senza contare che il connubio con la natura e i paesaggi è perfetto: la zona di Tampere è ricca di laghi, e non mancano coste scogliose e sabbiose, e il fascino delle isole e delle verdi penisole nelle limpide acque è come un dolce richiamo, e la navigazione sui laghi è vivace. Così che non mi sorprende nel dirmi che quando ai finlandesi si chiede in quale città vorrebbero vivere, se dovessero traslocare, quasi sempre la risposta è Tampere.
In poco raggiungiamo la collina della città, dove svetta alto nel cielo limpido un osservatorio; i turisti scarseggiano, quasi nessuno conosce il posto, ma io ho la fortuna di avere Markus come cicerone. Ci inerpichiamo sulla ripida torre, e una volta in cima, siamo soli, e lo spettacolo è tale da mozzarmi il fiato: un'infinita distesa di conifere si perde a vista d'occhio, ricoprendo le colline punteggiate di pochissimi centri abitati. Ovunque si guardasse un lago scintillante si confondeva con il limpido blu del cielo. “quella è Nokia” mi dice. In lontananza, strizzando gli occhi, si poteva intravedere un minuscolo centro abitato. “è lì che hanno inventato il tuo cellulare”.
Chi se lo sarebbe mai aspettato? La marca di telefoni forse più conosciuta al mondo trova le sue origini lì, in quel posto sperduto e quasi incontaminato: stento proprio a crederci.

Cerco di immaginarmi come dovesse essere la città in inverno, e davanti a me con gli occhi disegno una distesa immensa di bianco: “in inverno Tampere è sempre Tampere, ma non la stessa” mi dice Markus abbozzando un sorriso. “il panorama, gli appuntamenti e le manifestazioni cambiano, i giochi sono diversi”. Anche la quantità di neve cambia. Il vapore delle rapide di Tammerkoski, disperse da qualche parte, lì, nella distesa che si apre sotto i miei occhi, sale verso il sole che fa capolino. Il berretto è di lana. Le luminarie si accendono e illuminano le bianche vie della città, la stagione teatrale è nel vivo, Babbo Natale arriva con le sue renne in Piazza Centrale e le tradizionali bancarelle mettono allegria. Il lago Näsijärvi dovrebbe ghiacciarsi a gennaio, le stelle brillano sui palchi e la stella polare nel cielo. E tutti fuori a godersi l'inverno! Certo, magari il primo mese; dopo diventa monotono, troppo freddo e banale. Forse per loro che vivono qui da sempre, penso io. Il sole sta tramontando, e Markus mi propone un caffè nel locale alternativo che è solito frequentare nei tempi morti.
Accetto di buon grado, e lo invito a un caffè con cioccolata e lì, seduti su un divano in pelle stile anni '70, mi racconta le sue avventure in Tailandia, dove ha vissuto per due anni, e dove sta pianificando di tornare per passare l'inverno. La chiacchierata è lunga e piacevole, e trascine le lancette sul grosso “nove” dell'orologio da parete del locale, che emette un suono sordo. È ora di andare, fra un'ora comincia il turno. Torniamo a casa, ci salutiamo, e ci diamo appuntamento al mattino dopo, al suo rientro, per i saluti. E in men che non si dica, scivolo anch'io nel sonno della mia ultima notte finlandese. Il mattino dopo non ho bisogno della sveglia: ci pensano Kitty e il suo amico felino a svegliarmi di buon'ora.

Scaccio i due gatti dal divano, e ho giusto il tempo di preparare il mio zaino, quando rientra Markus, visibilmente provato dal lavoro notturno. È giunto il momento di salutarci, ancora una volta lascio un amico con la certezza di rivederlo presto, e mi dirigo verso il lago da cui prende il nome la via di Markus.
La Finlandia non smette di stupirmi: è difficile stancarsi dei suoi laghi pittoreschi e delle persone che li animano. Il lago, incastonato tra le abitazioni di Tampere, è silenziosissimo, coperto da una cortina di vapore, probabilmente creatosi per la reazione con l'acqua fredda del lago: il termometro segna quattro gradi, e l'erba scricchiola sotto i miei piedi. Percorro il sentierino che dalla casa di Markus si inerpica ai lati delle rive collinose del lago, e di tanto in tanto incontro qualche intrepido personaggio facendo jogging. L'attività fisica è molto piacevole e fonte di energia quando ci si muove secondo il proprio stile e ritmo, penso. Alcuni procedono velocemente, altri con più calma, c'è chi si ferma a contemplare la meravigliosa vista del lago, e chi, coraggioso, ci si bagna.
Chi invece, proprio sopra la mia testa, mi richiama con il suo squittio: anche gli scoiattoli animano già la piccola foresta di conifere che mi circonda. Il paesaggio è così suggestivo che solo il dolore ai piedi mi suggerisce di dare un'occhiata all'ora: cammino da quasi tre ore, e non ho la più pallida idea di dove mi trovi. Gli edifici di Tampere ormai sono scomparsi, così come gran parte delle casette che punteggiavano la foresta. Decido di tornare indietro sulle mie orme, fino a sbucare su una stradina sterrata. A un centinaio di metri in lontananza vedo un signore col suo cane, e decido di raggiungerlo. Scopro così che mi sono lasciato la città indietro, a cinque chilometri di distanza: i miei piedi avevano ragione, forse ho un po' esagerato, ma la cornice paesaggistica quasi esotica che mi circonda mi ripaga abbondantemente.

Il signore dice che posso prendere un bus, che mi lascia direttamente in stazione, ed è proprio in stazione dove sono diretto. Stazione vuol dire ristoro ma ahimè, significa anche fine della corsa, Marco. Dopo un aereo, un bus, una nave, un traghetto, un treno, eccomi nuovamente lì, accovacciato su un sedile impolverato, a ripensare sull'infinità di esperienze e ricordi ancora freschi che attanagliano la mia mente e mi impediscono di pensare a un ritorno. Ma dopo la partenza, c'è sempre un ritorno, e così, ancora una volta con il sorriso che fin dall'inizio mi ha accompagnato nel mio viaggio, mi tocca lasciare Tampere, che ai miei occhi è apparsa davvero speciale.
I laghi che scintillano, le cime verdi, i dolci del pasticcere locale, l'atmosfera internazionale e le specialità dei locali. Il caffè di mattina in piazza Laukuntori con la brezza proveniente dal lago. La natura fresca che ti avvolge anche in città. Tampere è una città al contempo vivace e tranquilla, Tampere ha il cuore di una piccola cittadina e l'atmosfera internazionale. Tampere piace a tanti. E sì, forse la piazza di Keskustori non è delle più belle, ma è il miglior posto per guardare la gente nella sua routine. Ma dopo tutto cosa c'è di meglio nella vita? Sentirsi un bambino stanco dopo una lunga e densa giornata, e la mia è giunta al termine. È ora di tornare a casa, quella vera, arricchito di tanti nuovi ricordi.

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